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Zeman: «SCHILLACI amava il pallone, voleva giocare anche DA INFORTUNATO. Ecco come arrivò alla JUVE. Aveva tanti modi per fare GOL»

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Zeman ricorda Totò Schillaci: «Amava il pallone, voleva giocare anche DA INFORTUNATO. Ecco come arrivò alla JUVE». Le dichiarazioni

Il tecnico degli anni di Messina di Totò Schillaci è stato Zdenek Zeman che su La Gazzetta dello Sport oggi ricorda la figura del bomber scomparso ieri.

VOLEVA GIOCARE SEMPRE «Calciatore con il fuoco dentro: voleva il campo, a qualsiasi costo, anche da infortunato. Non voleva rinunciare a nulla, amava esserci, divertirsi. Una volta si fece male, credo fosse stato operato mi pare a un menisco, ma in due settimane tornò ad allenarsi. Stiamo parlando di trentacinque anni fa, quando i tempi di recupero erano chiaramente superiori a quelli attuali. Ne ricordo un’altra: alla vigilia di una gara particolare, assai sentita, certo importante, gli venne una caviglia più grossa di un melone, impossibile rischiarlo. Quasi mi implorò: mi faccia giocare, mister». Glielo dissi, non puoi, non ti vorrei bene, ti rovinerei altre gare. Capì. Ma, come succede ogni tanto, quella esclusione fece rumore, non si era a conoscenza delle sue condizioni fisiche e nacquero le leggende metropolitane: in giro pensavano che avessimo litigato, qualcuno così disse o scrisse. Finì in risata tra me e lui: ma come si faceva ad avere una discussione con un ragazzo del genere?».

IL PALLONE – «Un sempliciotto, nei rapporti ci sapeva stare, era un buono. Da me – però in genere da qualsiasi allenatore – voleva solo il pallone, gli bastava quello per essere felice e per sentirsi realizzato. A Messina lo trovai già nella fase evolutiva, aveva cominciato con Scoglio. Ma poi insieme vivemmo una stagione emozionante, divenne capocannoniere della B e mio zio Vycpalek, che ricopriva il ruolo di osservatore della Juve, lo segnalò ai bianconeri».

COME ANDO’ ALLA JUVE – «Come doveva andare. Stava bene se poteva starsene in campo, lì dava il meglio, perché segnava».

DAL MESSINA A ITALIA ’90 – «Alla Juventus si impose immediatamente e penso che chi ebbe modo di vederlo e di conoscerlo non abbia mai avuto dubbi che riuscisse a dimostrare ciò che si portava dentro. Una fame per il gol che lo aiutava a divorare i palloni: non aveva un solo modo di far gol, ne conosceva tanti; e non c’era uno schema che preferisse a un altro, lui la porta la sentiva anche se non la vedeva»

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