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Zangrillo: «Al Genoa serve una rivoluzione, con Spors si può fare. Su Sheva…»

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Alberto Zangrillo, presidente del Genoa, ha parlato a Sportweek della sua nuova esperienza alla guida del club ligure

Alberto Zangrillo, presidente del Genoa, ha parlato a Sportweek della sua nuova esperienza alla guida del club ligure.

777 PARTNERS – «Dal primo momento con lui si è instaurato un rapporto di confidenza nel pieno rispetto reciproco. Mi è venuto spontaneo in uno scambio di messaggi whatsapp mandargli la foto della porta di casa mia dove, effettivamente, sopra l’ingresso campeggia lo scudo crociato simbolo di Genova, e quindi del Genoa, dipinto in tempi non sospetti, una ventina d’anni fa».

NUOVI INVESTIMENTI SUL TERRITORIO – «Nessuno è così stupido da credere che a un certo punto non ci possa essere dietro anche l’interesse imprenditoriale, assolutamente legittimo, nonché ingrediente necessario per poter fare bene le cose. Pensare che la gestione di un club come il Genoa, con la sua storia, possa limitarsi a cercare di mettere insieme la squadra più competitiva e l’organigramma societario più adeguato è riduttivo. Credo che per la più vecchia società di calcio in Italia sia straordinariamente importante interpretare questo nuovo corso nel modo più moderno».

GENOA – «Anche noi stiamo avendo problemi, ma il momento attuale non dipende dalla transizione. La squadra fatica ad essere competitiva in questo campionato, per cui il primo obiettivo è quello di mantenere la categoria. Dopo il derby, che ha rappresentato come tutti i derby persi una dolorosissima ferita, da subito parlando in mo- do serio con Josh Wander abbia- mo condiviso il fatto che quello fosse comunque un giorno straordinariamente importante, in cui abbiamo presentato un general manager, Johannes Spors, con caratteristiche di modernità che possono essere frettolosamente liquidate sostenendo che adesso al Genoa serve chi la butta dentro».

BREVE PERIODO – «Noi, invece, pensiamo che quando tu parti con un progetto importante, devi prima di tutto preoccuparti di avere tutte le leve per perseguire i tuoi obiettivi. Il primo è mantenere la categoria. Questo mi sento di prometterlo ai tifosi senza pensare di essere un imbonitore. Però contemporaneamente si stanno facendo tante cose per creare un contesto che sarà un modello da seguire». 

PRESIDENTE TIFOSO – «Credo che come presidente non avere sempre la sciarpa al collo, ma il cuore gonfio di passione sia comunque estremamente importante: ti qualifica, perché in quel momento avverti il senso di responsabilità anche nei confronti delle istituzioni. Il Genoa deve tornare ad essere seguìto. La curiosità scaturita dal fatto che noi abbiamo identificato un giovane general manager dal profilo internazionale è straordinaria, perché siamo usciti da un perimetro provinciale per entrare in uno europeo. E poi c’è il bellissimo rapporto con l’ingegner Blazquez (il manager di 777 vicino al Genoa, n.d.r.), infaticabile punto di riferimento e uomo di grande competenza e cultura, non solo calcistica».

SHEVCHENKO – «Ci vuole coraggio. Non è stato preso perché simpatico a qualcuno o perché si sia proposto o per qualche altra strana ragione. Quando si ragiona in termini imprenditoriali, evidentemente si fa un’azione di scouting, poi si fa una riflessione e poi alla fine si prende una decisione. Nessuno ha la verità in tasca e allora devi pensare ai valori. Lui è un uomo di sport, è un Pallone d’oro, e questo potrebbe anche non bastare, ma è rigoroso, serio, ha fatto una scelta di vita, abbandonando una città estremamente stimolante come Londra e quindi dobbiamo supportarlo. La società vuole bene a Andriy, io voglio bene a Andri».

SPORS – «Con il supporto di mister Spors il cerchio si chiude. Aggiungo questo: ho lavorato da sempre per un ospedale, il San Raffaele di Milano, che ha conosciuto varie situazioni, come il Genoa. Noi siamo passati da don Verzé, il primo fondatore di una gran- de realtà privata, uomo straordinario e visionario, a un fallimento e quindi alla ripresa. Tutti abbiamo sofferto, ma ci ha sempre tenuto insieme il team working. La vita mi ha insegnato che l’ingrediente principale è l’umiltà. Quando sono in ospedale penso che sia la persona più semplice che lavora lì ad avere bisogno del mio saluto e del mio sorriso, non il mio collega primario. La stessa cosa in una società di calcio. Per esempio mi dà enorme fastidio, anche se sembra una stupidata, il calciatore che dopo avere bevuto dalla borraccia la abbandona o la allontana con un calcio. Lo stile passa anche attraverso questi piccoli gesti».

 

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