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Zanetti si RACCONTA: «Avevo pensato di MOLLARE all’inizio. Vi SVELO il mio arrivo all’Inter»
Javier Zanetti si racconta tra infanzia, Inter, qualche retroscena e ovviamente il suo modo d’intendere e volere il calcio
Ospite al podcast “Passa dal BSMT” di Gianluca Gazzoli, Javier Zanetti si racconta e parla della sua carriera all’Inter. Ecco il suo racconto
LA MIA INFANZIA – «Dopo due-tre anni io ero magrolino, non crescevo. E vedevo che i miei compagni…in quel momento c’era differenza. Però non pensavo che questo fosse motivo per essere scartato. Io continuavo ad allenarmi, giocavo. Arriva l’allenatore e mi dice: ‘Purtroppo non farai più parte della squadra’. Mi sono messo a lavorare con mio padre da muratore. Io dico sempre che è stato uno dei momenti più belli, perché ho capito tantissime cose della vita, i sacrifici che facevano i miei genitori per non farci mancare nulla».
IL PROVINO – «Mia madre casalinga, mio padre si alzava alle 5 del mattino, ci vedevamo all’ora di cena e il giorno dopo sempre così. Fin quando mio padre si ferma, stavamo picchiando un muro e mi chiede: ‘Tu cosa vuoi fare da grande?’. Io rispondo: ‘Papà tu sai che la mia passione è il calcio’. E lui: ‘E perché non ci riprovi? Magari questa volta può andare bene’. Quelle parole lì, in quel momento lì, mi hanno dato l’impulso per trovare la forza per provarci ancora. Vado a fare un provino in una squadra di Serie B, il provino va bene, questa squadra va bene e lì…».
IO TRA GLI SPORTIVI PIÙ AMATI – «Questa è la cosa che mi fa più piacere. Poter sentire il rispetto da parte di tutti, non soltanto dei miei tifosi. Vuol dire che uno ha fatto la carriera in una certa maniera e continua adesso a cercare di spiegare, soprattutto ai più giovani».
IL RISPETTO DEI TIFOSI DI JUVE E MILAN – «Questo mi fa piacere perché sono onesti. Però il rispetto da parte delle persone e mio nei loro confronti, ho voluto sempre farlo in questa maniera. Grande rispetto per le persone che seguono questo sport».
SUL SOPRANNOME PUPI – «Lo porto dall’Argentina, da quando ero piccolo. Me l’ha dato un mio allenatore. Poi ho messo alla mia fondazione con cui lavoriamo lì con tanti bambini, il senso della vita. Io mi chiamo Javier, in quella squadra ce n’erano tanti. Questo allenatore aveva avuto mio fratello quando giocava a calcio e gli diceva Pupi. Allora quando sono arrivato ha detto ‘Va beh, ti chiamo Pupi’. Ed è rimasto».
MAI DATO SOPRANNOMI A QUALCUNO? – «Walter Samuel, che è il muro. Io vedevo sempre quella faccia da difensore tenace e l’ho chiamato ‘The Wall’».
SUL MIO LIBRO – «Sono 28 anni qui in Italia. L’Argentina è la mia terra, da dove sono partito. Da dove parte il mio sogno di diventare calciatore. Poi arrivare qui in Italia per me è stata una grandissima opportunità».
SE AVREI MAI PENSATO AD UN FUTURO IN ITALIA? – «No, era un’ambizione e un mio sogno. In Argentina noi guardavamo le partite di Diego (Maradona, ndr) quando giocava a Napoli e credo che in quel momento lì e in questo momento il calcio italiano sia molto ambito. E confrontarti con grandi campioni, per noi giovani, era una grandissima opportunità. La mia carriera credo sia stata molto veloce. Io iniziai in Argentina e dopo due anni mi arriva questa opportunità di venire all’Inter. In quel momento lì non ci potevo credere. Pensavo di iniziare a giocare in Argentina, magari dopo passo in una grande squadra. Poi se sono bravo e dimostro di essere all’altezza, magari mi arriva l’opportunità di andare in Italia, o in Spagna o in Europa. Mi è arrivata velocissima, avevo 20 anni. Siamo arrivati con Rambert, un altro connazionale. In quel momento lì potevano giocare tre stranieri. L’Inter aveva comprato Paul Ince, Roberto Carlos, Rambert e io ero il quarto straniero. Lo sconosciuto. Rambert era capocannoniere in una squadra importante. Ricordo la presentazione in terrazza Martini, un diluvio universale. Arrivo con le mie scarpe, sono passato in mezzo a tutti i giornalisti…mi guardavano ma nessuno sapeva chi fossi. Dopo quando sono salito al primo piano che ho salutato…(ride, ndr). Quando sono arrivato qui in Italia ho trovato il mio posto nel mondo. Subito mi sono innamorato. Qui ho potuto completare il mio percorso di crescita come calciatore e uomo. Da lì tutta la carriera all’Inter».
L’AFFETTO DEI TIFOSI – «Sì, questo feeling e amore fin dall’inizio. Perché mi vedevano come un bambino che faceva i primi passi e tutti mi volevano proteggere. Io questo l’ho sentito. E la prima cosa che ho sentito quando sono arrivato al primo allenamento era che l’Inter fosse famiglia. E questo senso di famiglia l’ho percepito subito».