2014
Un cognome difficile da scrivere
Pietro Vierchowod detto Lo Zar: uno dei difensori più forti del calcio italiano
LA GUERRA E’ FINITA – Ivan Lukjanovic Verchovod non avrebbe mai potuto immaginare, durante la Seconda Guerra Mondiale, che un giorno il suo cognome sarebbe stato cambiato in Vierchowod. Ivan era un militare ucraino e a quei tempi l’Ucraina faceva ancora parte della grande madre Russia, con l’Armata Rossa pronta a dire la sua in Europa e pure in Italia. Verchovod venne fatto prigioniero e passò da Bolzano a Pisa e poi infine a Modena, prima che la guerra finisse con la sua Russia al tavolo dei vincitori. Sconvolto e disilluso, Ivan decise di rimanere in Italia dove il cognome divenne via via diverso e venne traslitterato in Vierchowod. Nel nostro paese iniziò a fare mestieri abbastanza umili come il facchino e poi passò a un’industria di motociclette. In mezzo a tutto questo nel 1959, esattamente il 6 aprile in quel di Calcinate, nacque suo figlio. Pietro Vierchowod.
SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE – Vierchowod è quello che i dottori definirebbero un bambino di sana e robusta costituzione. Vuole giocare a pallone ma il padre cerca di tenergli i piedi per terra e quindi lo fa lavorare come manovale; nel tempo libero Pietro però gioca prima nella Asperiam di Spirano e poi nella Romanese con la quale esordisce in Serie D. Leggenda narra che Zagatti, allora talent scout del Milan, bocciò il giovane comasco impedendo al calcio mondiale di poter gustare negli anni a venire una coppia difensiva con Baresi. Sì perché Vierchowod è un difensore, ma non come quelli di oggi, è bello forte e roccioso. Superare Vierchowod è come cercare di salire sul Monte Bianco con un Gilera, non impossibile, certo, ma converrete che le possibilità di riuscita non sono poi così tante. Il salto nel grande calcio avviene nel 1976 con l’approdo a Como: dopo un iniziale anno di ambientamento, un certo Osvaldo Bagnoli decide di puntare su di lui e così farà in seguito anche Pippo Marchioro. Mai scelta si poteva rivelare più oculata, la Sampdoria se ne rende conto e si prende il buon Vierchowod.
GIOVANE ESPERTO – A Genova la difesa è affollata quindi arrivano due prestiti. Ora, siamo abituati al calcio moderno dove i giovani giocatori vengono fatti marcire a titolo temporaneo in Lega Pro, per Vierchowod la storia fu diversa: a 22 anni è a Firenze con la Fiorentina ricordata sia per il giglio enorme sulla maglia sia soprattutto per lo scudetto sfumato all’ultima giornata e finito tra le polemiche alla Juventus. Pietro gioca da titolare quella stagione mostrando una tenacia e un temperamento tipici di difensori molto più vecchi di lui. Vierchowod ha già esperienza da vendere a 23 anni e lo dimostra nell’ennesimo prestito alla Roma, squadra che a fine anno vincerà lo Scudetto con Liedholm in panchina. A Roma fa vedere tutte le sue qualità, tra cui una velocità assurda per un colosso come lui: molto spesso dietro i giallorossi sono scoperti visto che Nela e Maldera sono due ali più che due terzini e Di Bartolomei è un regista arretrato, ma Vierchowod è in grado di comandare da solo. Non a caso lo chiamano lo Zar, anche se un cognome così poco italiano e così difficile da scrivere aiutano in maniera considerevole.
ZAR DORIANO – Finita la doppia parentesi in prestito la Sampdoria si ravvede e lo riporta a Genova, dove inizierà la sua carriera di giocatore simbolo del Doria e amatissimo dai tifosi blucerchiati. Dal 1983 al 1995 Vierchowod ha il posto fisso nella difesa dei liguri, con i quali raggiunge risultati insperati grazie sia alle sue prestazioni sia a una delle squadre più sorprendenti di quel periodo. E’ qui che consolida il suo posto in nazionale (ha comunque partecipato al vittorioso Mundial senza mai scendere in campo) ed è qui che diventa uno dei migliori difensori della storia del calcio italiano, ingiustamente sottovalutato quando si tratta di stilare top ten storiche o liste particolari. Con quella faccia da duro dei film di Sergio Leone e con un fisico da crash test, il nostro Pietro conquista Genova e i doriani ma non solo: vince 4 coppe Italia, una Supercoppa Italiana, una Coppa delle Coppe e soprattutto lo Scudetto del 1990-91, la gioia più grande nella storia della Sampdoria. Per ogni gioia però c’è anche un baratro in attesa e in questo caso il momento delle lacrime arriva a Wembley nel 1992, quando il Barcellona affossa la Sampdoria in finale di Coppa dei Campioni con un missile di Koeman. E’ il punto più alto mai raggiunto dalla Samp, e Vierchowod è lì, a difendere con le unghie e con i denti, stavolta però invano.
DUE GARE DECISIVE – Finita la parentesi doriana Vierchowod passa alla Juventus, poi per una brevissima parentesi estiva al Perugia e infine al Milan e al Piacenza, dove gioca fino a 41 anni e si è ritirato nel 2000. Due sono però le partite chiave della sua carriera dal 1995 in poi, una delle quali è un’altra finale di Coppa dei Campioni. La Juve lo ha preso per puntellare la difesa e avere esperienza nel reparto arretrato, ma Lippi a Roma per la finale con l’Ajax ha bisogno di uomini con gli attributi. Detto fatto, c’è Vierchowod. Il comasco a 37 anni appena compiuti gioca da titolare la gara con gli olandesi e deve vedersela con Kanu e Musampa, due giovani maratoneti che vengono tenuti a bada. Il resto è storia, la Juve vince ai rigori e pietro si riprende il maltolto di quattro anni prima. La seconda partita simbolo è invece un più modesto Piacenza – Salernitana del 1999. Le due squadre rischiano la B e al Garilli si scontrano nel match della vita: al 53′ è proprio Vierchowod a segnare il gol dell’uno a zero, prima dell’inutile pareggio di Fresi su rigore. Lo Zar anche a 40 anni suonati ce l’ha fatta, ancora una volta ha scritto il proprio nome in calce al pallone italiano.
ANIMALE – Vierchowod adesso è un allenatore e lavora in Ungheria all’Honved. Come tecnico non ha avuto le stesse fortuna di quando, riccioluto o stempiato che fosse, in campo bloccava gente del calibro di Baggio, Litmanen o Platini. Di lui rimangono le sue espressioni da uomo duro e soprattutto il suo essere costruito interamente in granito: mai un grave infortunio in carriera, solamente qualche incidente di percorso, come tre diversi fori in un polmone, uno dei quali curato da autodidatta, stando allo stesso Vierchowod. Umile ma lavoratore, è stato di gran lunga uno dei difensori più forti del nostro calcio, sicuramente quello che più si avvicina a Robocop per le caratteristiche fisiche. Lo Zar ha sancito un prima e un dopo nella storia dei difensori, perché oggi di giocatori così non c’è nemmeno l’ombra. Con quel cognome un po’ così, storpiato in Wierchwood dai giornalisti o in Wiechivoch come la prima volta sul giornale locale, Pietro Vierchowod è stato la bestia nera di molti attaccanti. Per lui garantisce Maradona, uno che a calcio sapeva giocare abbastanza: «Vierchowod era un animale, aveva i muscoli anche nelle ciglia. Era facile superarlo, ma poi quando rialzavo la testa lui era ancora davanti a me. Dovevo superarlo due o tre volte ma poi non lo sopportavo più e quindi passavo la palla».