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Verona, Zaccagni: «Apprendo velocemente e mi ispiro a Del Piero»
Mattia Zaccagni ha parlato delle sue qualità e della sua crescita in una intervista a SportWeek
Mattia Zaccagni, centrocampista del Verona, ha rilasciato una lunga intervista a SportWeek dove ha parlato delle sue qualità, della crescita con Juric e dell’infanzia.
PAROLE JURIC – «Mi rendono orgoglioso. Vero, il mister lo ha ripetuto più volte, pure davanti ai miei compagni di squadra: “Mattia è uno dei giocatori più intelligenti che abbia mai allenato”. Il calcio di Juric è un meccanismo di precisione e curato nei dettagli. Io mi ci trovo bene. I mister mi ha conquistato cn la fantasia che garantisce imprevedibilità al nostro attacco. Con gli assist che fornisco ai compagni. Coi movimenti che fanno giocare bene gli altri No, perché il mister mi lascia libero. Mi dice sempre di provare quello che mi viene in mente come e dove colpire. Facendo la giocata giusta».
QUALITA – «Dal punto di vista tattico, già da ragazzino ero più avanti degli altri. È una dote che ho di mio e che gli allenatori delle giovanili mi hanno aiutato a sviluppare. Intuisco come e in quale posizione smarcarmi, in quali spazi posso lanciarmi. Mi piace molto mandare in gol i compagni, soprattutto quando il passaggio è fatto con l’avversario addosso e pochissimo spazio dove far passare la palla. Mi piace osare e sono generoso di carattere, ma quest’anno ho iniziato a pensare di più anche al gol, tanto è vero che ne ho già fatti cinque, quanti sono stati gli assist. Ho scoperto che segnare non è così mal».
IDOLO – «Più che modello, idolo: Alessandro Del Piero. Sono cresciuto col suo poster in cameretta. Oggi mi piace Modric, per la tecnica e la facilità nel superare l’avversario».
INFANZIA – «I miei mi hanno aiutato a costruire il mio sogno. Sono di Bellaria, in Romagna, dove la famiglia ha un hotel, Villa Saba, affacciato sul mare. Ho una sorella, Francesca, di un anno più grande, che lavora in un negozio di design per la casa e d’estate dà una mano in albergo. Diciamo che da ragazzo ho portato qualche caffè ai tavoli. Per il resto, sempre e solo calcio. Quando vedevo un pallone per me si fermava il mondo: mi fiondavo a giocare, e fa niente se gli altri erano più grandi. Ricordo le partite sul campetto della parrocchia, ovviamente in asfalto. Cinque-sei ore di partita, rientravo a casa distrutto. E con le ginocchia sbucciate».