2009
Un calcio al… calcio
Sono passate sotto gli occhi di tutti le immagini della assurda giornata di Genova, con gli incidenti avvenuti prima per le strade del capoluogo ligure e poi all’interno di Marassi.
Sono tanti, purtroppo, i protagonisti della serata vissuta al “Ferraris”, nessuno dei quali era stato annunciato: non abbiamo visto le volate sulla fascia dello juventino di Serbia Milos Krasic o le staffilate dell’interista Stankovic, nè i duetti in salsa blucerchiata dei gemelli del gol Cassano e Pazzini o le geometrie di Pirlo; sono balzati agli onori della cronaca altri personaggi, di cui nessuno avrebbe mai voluto parlare.
Il primo è senz’altro quell’ultras serbo, che del tutto indisturbato e onorato delle continue inquadrature delle telecamere presenti a Marassi ha potuto tranciare gran parte della recinzione con una tronchesa, uno di quegli oggetti che, solo in linea teorica, non potrebbero essere introdotti all’interno di un impianto sportivo, a meno che non si faccia parte di un gruppo addetto alla manutenzione dell’impianto stesso.
Passiamo al secondo protagonista non annunciato della non-partita di Genova, l’arbitro scozzese Craig Thomson, il quale ha fatto letteralmente di tutto per salire alla ribalta, in una serata in cui il calcio ha avuto davvero poco spazio: il fischietto britannico ha prima fatto scendere in campo le squadre per poi condurle immediatamente negli spogliatoi; dopo qualche minuto è avvenuto il terzo dietrofront, con l’assurdo schieramento in campo e quegli altrettanto assurdi 8 minuti di “gioco”, in cui Thomson è stato anche capace di negarci un rigore (sacrosanto) e di annullarci un gol (decisione corretta); infine, l’unica decisione dotata di senso, ovvero la sospensione della partita, poi resa definitiva dagli ufficiali UEFA presenti negli spogliatoi.
Chiudiamo con Vladimir Stojkovic, protagonista di una storia agghiacciante da un lato e pietosa dall’altro: l’estremo difensore della Serbia, reo di aver condotto la propria nazionale alla clamorosa sconfitta casalinga dell’Estonia, ha vissuto i quattro giorni della propria vita a partire proprio dalla serata di Belgrado, in cui è incappato assieme ai suoi compagni nel ko contro gli estoni.
Ammesso che il portiere avesse delle responsabilità nel passo falso serbo, è assolutamente privo di senso quanto accaduto a Stojkovic: prima vittima di minacce di morte; poi vittima di un vero e proprio agguato, con un fumogeno lanciato al suo indirizzo che lo ha costretto al ricovero d’urgenza presso l’ospedale San Martino di Genova; infine il tentativo di nascondersi nello spogliatoio dell’Italia, con la successiva testimonianza di Cesare Prandelli (uomo da sempre attento al lato umano del calcio), il quale ha detto di averlo visto davvero impaurito dopo le brutte vicissitudini da lui vissute.
Questa sera il calcio ha subito l’ennesima ferita, inferta da chi dovrebbe limitarsi a godere dello spettacolo di ventidue giocatori che seguono una sfera di cuoio ma che tentano, e spesso riescono, di trasformarlo in un teatro in cui mettere in scena le proprie guerre quotidiane, di stampo politico piuttosto che strettamente personale.
Non sappiamo se le squalifiche, la vittoria a tavolino o l’esclusione dei “tifosi” serbi dalle manifestazioni internazionali serviranno a calmare il clima attorno al “pianeta calcio”, ma quel che è certo è che servirà l’ennesima sterzata per rendere meno marcio un ambiente funestato da eventi, che con il campo continuano ad avere davvero poco a che fare.