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Tuchel al Festival dello Sport: «Jorginho merita il Pallone d’Oro. Sarebbe un piacere allenare in Italia»

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Thomas Tuchel ospite al Festival dello Sport di Trento: le parole del tecnico campione d’Europa con il Chelsea

Thomas Tuchel ospite del Festival dello Sport a Trento. Queste le parole del tecnico del Chelsea.

CHAMPIONS VINTA IN 4 MESI – «In realtà non so spiegarlo anche io o forse fa parte della spiegazione questo non sapere. Fin dall’inizio ho avuto l’impressione che fosse naturale lavorare insieme. Ho sentito un sostegno costante, eravamo molto tutti concentrati sul calcio e tutta la nostra energia era diretta alla squadra. Con un po’ di fortuna e una società fantastica è stato possibile raggiungere questo risultato».

NIENTE CHAMPIONS CON IL PSG – «Non sottovalutiamo nel gioco del calcio la quota fortuna. Non ci sono tantissimi gol nel calcio, un dettaglio o un’espulsione può decidere una partita o una competizione. Nella Champions League è evidente, i margini tra le squadre sono minimi. Si cerca di vincere ogni partita e bisogna essere concentrati sul processo, non bisogna puntare solo il risultato finale ma anche sul processo, il by day by day».

CAMBIAMENTI – «Non è necessario cambiare. Ma deve essere sempre al servizio del gioco e della squadra. Io non posso vincere una partita da sola, le squadre possono vincere delle partite anche senza gli allenatori. È come il direttore d’orchestra, alle volte si può fare senza. Ma con lui, con il feeling fra lui e i musicisti, il concerto diventa straordinario. È quello che sto provando a fare: possono giocare anche senza di me, devo riconoscere questo fatto. A qualunque livello sono gli atleti la chiave, si tratta di raggiungere il livello massimo possibile».

ALLENATORI D’ISPIRAZIONE – «Lasciatemi dire che il mio primo allenatore è stato mio padre, poi ho avuto uno straordinario coach come Ralf Rangnick che ci ha detto che non è sempre necessario correre sempre dietro alla punta, ma si può giocare anche in maniera differente. È stato rivoluzionato. Poi negli anni tante persone mi hanno aiutato ad accrescere la mia opinione del gioco: sono grato a Jupp Heyncknes, la mia prima partita nella Bundesliga è stata contro di lui, un 2-2. È un idolo, ma mi ha trattato come un amico, come un figlio. È stato straordinariamente cortese, mi ha fatto capire che tipo di gentleman devi essere per raggiungere il vertice. Quando vedevo giocare l’Ajax di van Gaal, l’Arsenal di Wenger, il Milan di Sacchi… Io sentivo qualcosa di diverso, non capivo il dettaglio, ma era bello da vedere. Più tardi ho capito quanta influenza ha la società, l’allenatore, quanta importanza ha il ruolo. Sono stato contento di vedere Guardiola e il Barcellona crescere, forse il livello più alto in quegli anni. Ogni partita mi ha quotidianamente portato a migliorare».

VICINO A TOP ALLENATORI – «Mi sento vicino a Klopp, che ha lavorato in Germania e c’è qualcosa di simile anche se non ci conosciamo benissimo. E’ surreale che mi avete affiancato a nomi di big allenatori come Conte, Klopp e Guardiola. Io sono un semplice tifoso e amante del calcio, mi sembra surreale. E’ un dono che ho ricevuto, me la godo ma non mi sento a mio agio a confrontarmi con questi coach».

SCIENZIATO DELLO SPORT«Il mio studio dello sport non si è mai concluso, ho cercato di apprendere molte cose. Non ho finito niente dopo aver concluso la mia carriera da giocatore, ho iniziato a studiare economia contro ogni mio talento, forse per accontentare mia madre e fare qualcosa di concreto che non riguardasse il calcio. Ho finito gli studi e ce l’ho fatta e forse è per questo che mi hanno dato questo soprannome anche se non è sempre positivo. Ciò che facciamo è tutto basato sulle statistiche e la scienza, al Chelsea ci danno dati a cui possiamo fare riferimento, i dati ci possono aiutare ma anche se ci sono tanti dati è sempre dare un approccio minimalista».

FILOSOFIA NEL CALCIO – «Tutte quante entrano nel mio lavoro, c’è un ruolo importante, abbiamo assorbito informazioni che fanno parte della mia persona. Voglio crescere così nel mio modo di essere: voglio assorbire, imparare, mettersi in discussione. Il passaggio da fare è cercare informazioni, avere influenze, ma poi snellirle. Non è chiudere la porta e dire non lo sappiamo. Anzi. Quelle che si trasferiscono alla squadra devono essere chiare. Non è una questione di una mia conoscenza, io posso anche convincere le persone, ma bisogna essere diretti, semplici. Sapendo come funziona il nostro cervello questo ci aiuta a insegnare meglio. Il giocatore non è che deve sapere perché devono imparare ad allenarsi con una diagonale»

SCARSI GIOCATORI MA GRANDI ALLENATORI – «Mi sarebbe piaciuto essere un giocatore bravissimo, non era mia intenzione fare l’allenatore. Quando giocavo nel giardino di casa tenevo per il Borussia Moenchengladbach. Avevo una porta e giocavo come se fossi in quel Borussia, per me era il mio sogno. Quando poi potevo guardare le partite europee ho visto dei giocatori interessanti dai nomi più strani per cui mi innamoravo. Mi sarebbe piaciuto essere qualunque giocatore del Barcellona. Ero un difensore, quindi… Magari Lothar Matthaus. Mi piacerebbe poter dire di avere anche quella esperienza, da top level, ma posso parlare solo a nome personale, non ho avuto altra scelta di imparare la professione dell’allenatore dai primi passi, non ho potuto basarmi sulla mia carriera da giocare».

GIOCATORI PSG E CHELSEA – «Sono tutti diversi. Quindi cambiare allenatore è un qualcosa di cruciale. Il nostro approccio è diverso, l’esercizio è differente. C’è bisogno di cose diverse in un certo momento, forse più rigidi e più distanti, alle volte, oppure lasciargli briglia sciolta. Varia da giocatore a giocatore e da gruppo a gruppo. Ci si riflette, sempre. Poi c’è un approccio individuale, c’è meno parlare di quanto si pensa. A questi grossi nomi non bastano le parole. O sentono una connessione oppure no, magari la qualità delle istruzioni. Se la cosa ha senso, se quello che l’allenatore si aspetta ha senso. Quello che mi chiede per Neymar, per esempio, sta meglio nella parte sinistra. Perché dovrei incominciare e avviare questa discussione? Dovrei trovare la soluzione migliore nella parte sinistra del campo, creando una situazione per trovarlo e dargli delle opzioni. È Neymar l’artista, sarà lui a scegliere. Una volta che questo giocatore sente che è un qualcosa al suo servizio, allora il ruolo si fa più preciso. Poi si possono criticare anche i campioni, le star, perché i giocatori sanno di assumersi le proprie responsabilità. È un piacere giocare con queste star, diventa facile essere l’allenatore di Lukaku».

PSG – «Non è facile allenare Neymar e Mbappè. Ho avuto momenti difficili al PSG, ho dovuto lasciare dei giocatori che avevano giocato con la squadra.  È accaduto con il Magonza, in inverno, avevamo incominciato a lavorare lì da poco. La sera io facevo fatica ad addormentarmi perché dovevo mandare via dei calciatori. È stata la prima volta che il calcio non mi faceva dormire, mi sono sentito male. Non era gioia allenare all’epoca, questo è capitato al Magonza ma anche quando si studia da allenatori. Non è giusto dire che la colpa è dei calciatori, perché sono delle star. Bisogna sentirsi forti, ma anche la fiducia intorno a te. Ci sono molte sfaccettature, puoi anche essere con le giovanili, se non ti senti abbastanza bravo, anche solo per i genitori che protestano e vorresti parlare con loro, la squadra se ne accorge, la spirale è verso il basso. È una cosa che può diventare pesante. Sono contento e grato di essere arrivato qui. Tutti pensano, ora al Chelsea, al mercoledì e al sabato. Tutto è al servizio del gioco, non ho mai avuto prima».

ULTIMA COSA IMPARATA – «Dalle sconfitte. Abbiamo perso due volte contro Manchester City e Juventus, questo ti tiene sveglio. Ti fa riflettere su te stesso, anche più dei momenti buoni. Così impari sta a me riavviare l’intero processo, rimettere in discussione i livelli di comunicazione, la tattica, le modalità di allenamento, la preparazione fisica, tutto il resto. Si mette in discussione la partita in profondità. Si vede anche come i giocatori reagiscono allo stress. Non è così semplice, ma c’è un aspetto positivo: in un ambiente sicuro, dove sei supportato, senti l’energia necessaria per superare il momento».

SCONFITTA CONTRO LA JUVE – «A volte ci si aspetta una cosa e non è sempre così. Non bisogna avere troppe aspettative, pensare di poter dire ai calciatori che sai già quello che accadrà. Pensavo che potesse accadere. Prima della partita forse ero mentalmente stanco, l’approccio difensivo va bene, ma mi è sembrata una partita contro l’Atletico Madrid. Avevamo vinto 1-0 ma eravamo stati molto offensivi, ma poi la partita la giudichi dal risultato e stavolta è una vittoria per la Juventus. Magari ti fanno i complimenti per la tattica, per l’approccio, ma abbiamo fatto tre errori fondamentali. Abbiamo fatto sì che la Juventus credesse così in se stessa: ma non è che non si sono meritati la vittoria, solo che con l’Atletico non avevamo fatto sbagli. Lì siamo stati pazienti. Ovviamente accettiamo la qualità, la storia e la tattica dell’allenatore. Rispettiamo, non possiamo dire arriviamo lì e vinciamo».

PALLONE D’ORO JORGINHO – «Merita, è uno di quelli che merita di vincere il Pallone d’Oro. E’ un giocatore intelligentissimo, è un piacere essere suo allenatore. Ieri è venuta fuori la lista dei 30 candidati ma per me non è importante questa lista, non li giudico in tal senso. Non hanno molto senso questi premi per me, ovviamente i calciatori agognano questi premi ma è impossibile fare un confronto reale tra tutti questi calciatori. Chi dovrebbe dire che è il migliore? Tutti lo meriterebbero di vincerlo da un certo punto di vista. Ovviamente vorrei che lo vincesse uno del Chelsea visto che aumenterebbe la fiducia, ma non è la cosa più importante nel mondo del calcio».

ALLENARE IN SERIE A – «Siamo appena tornati da Torino e sono stato a cena con il caffè, il dopo caffè, perdi e devi tornare a casa dopo questo trattamento. Già provato (ride, ndr). Ora non posso chiedere di più, sono al Chelsea, ma il calcio, fino a quando ero bambino, mi ricordo sempre le grandi squadre italiane, quelle che giocavano nell’Inter, tanti italiani vivono in Germania, noi passiamo le vacanze spesso in Italia. C’è una connessione fra me e l’Italia. I logo, le magliette, è una nazione da calcio, in cui è importantissimo, è bellissimo lavorare per la qualità, siete così tattici. Sarebbe un piacere puro per me venire a lavorarci, sentire l’atmosfera che si sente per lo sport, creare un festival come questo. È straordinario e lo sento bene»

LUKAKU – «Mi spiace per i tifosi dell’Inter ma come tutti cerchiamo di migliorarci. Abbiamo individuato un certo profilo, una punta molto fisica, un riferimento, un giocatore di personalità che potesse togliere pressione dalle spalle dei più giovani. Un giocatore che ci permettesse di giocare un calcio più rapido. Non ci sono tanti giocatori così. Quando abbiamo la chance di riportare Lukaku, per noi è stato un momento importante. Lui aveva detto che stava bene dov’era, ha lavorato straordinariamente con Conte e l’Inter. Ma poi tornare e concludere la carriera in Inghilterra, dove ha giocato da giovane, è stato importante. Lukaku voleva giocare nel Chelsea per questi motivi ed è andato tutto bene».

ATALANTA – «A tutti interessa molto la tattica, il dettaglio, è una bella influenza questa. Noi abbiamo giocato con l’Atalanta, con il PSG, Gasperini è un amico dell’allenatore dei portieri del PSG, Gianluca Spinelli. Quando abbiamo analizzato la squadra ce ne siamo innamorati. Sono bizzarri e folli in questo momento. Andavamo avanti e indietro, fast forward e rewind. Giocavano con cose che pensavano che non potessero fare, segnavano un sacco. Mi domandavo se fosse una squadra italiana davvero. Queste cose mi fanno alzare presto la mattina per ricominciare a lavorare. Voi siete al top da questo punto di vista, lo siete sempre stati».

GIOCO O RISULTATI – «È un pareggio alla fine, uno direbbe la qualità ma poi senza risultati non ti segue nessuno. Lo stile deve portarti a vincere. Non devi nasconderti dietro la qualità. Se sei l’allenatore devi trovare soluzioni per giocare bene, ma anche per vincere. Io sono competitivo, ma non mi vergogno di dire che le due cose vanno di pari passo. Non va sempre bene se vinci, perché alle volte è pura fortuna. Sono convinto che in ultima analisi bisogna avere la chance di vincere».

ITALIA DI MANCINI – «È facile dirlo, mi è piaciuto tutto. All’europeo ho capito sin da subito che sarebbero stati tra i favoriti. Per la squadra, la panchina, l’atmosfera, lo spogliatoio. Ho visto una squadra di altissima qualità, tatticamente ben messa. Non è così ovvio. Non si possono fare confronti, ma questa è stata una squadra straordinaria. Mi è piaciuto tutto. Mentalmente in questi casi la guardo più da tifoso che da allenatore. La televisione è sempre accesa, ma dopo un po’ la spegni. Devo dire che la Nazionale italiana mi ha chiamato, è stata una vittoria meritatissima, con questo sforzo di squadra. Mancini ha costruito, lungo tantissime partite, una squadra straordinaria».

MONDIALE OGNI 2 ANNI E SUPERLEGA – «Crediateci o meno, ma sono argomenti che non mi prendono molto. Perché mi distraggono, prendono il mio processo giornaliero e io voglio fare il meglio giorno dopo giorno, ora devo affrontarle più in profondità. Wenger è a favore ogni due anni, ma ho bisogno che ci parli, così come per la Superlega. Ho bisogno di più informazioni da chi è coinvolto. Attualmente non posso dedicare energie mentali nemmeno a fare commenti. Non mi sono fatto ancora un punto di vista. Per il momento è una cosa più politica per la quale non ho un interesse immediato. Tutti credo debbano pensare attentamente, noi come allenatori non abbiamo detto la nostra. Forse diremo la nostra, però non è accaduto». 

CHAMPIONS LEAGUE – «Chi la vince? Non ne ho idea, al momento. Siamo fermi adesso, siamo ancora nella fase a gironi. Se vuoi scalare la montagna, devi comunque partire, altrimenti alla cima non ci arrivi mai. È bellissimo arrivare fin lassù, ma prima devi fare primi passi. Bisogna mettersi attrezzatura, prepararsi, passo dopo passo. Se io dicessi che vinceremo, credo non servirebbe a molto. La prossima partita, con il Malmo, è la cosa più importante. Ci proviamo sempre, ogni settimana, a vincere. Ci nascondiamo, siamo timidi, non vogliamo far vedere le nostre vere ambizioni. Non è questo. Dobbiamo tenere i piedi per terra, avere le giuste aspettative, essere determinati. Poi se si comincia a salire si può arrivare alla cima, ma bisogna dare importanza al percorso. Ma intanto lotteremo, per ogni titolo, finché c’è possibilità. Non ne ho idea, forse anche un’italiana».

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