2015

Torino, Ventura: «Zenit? Nulla ci è precluso»

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Il tecnico, però, avvisa: «Se siamo quelli di Udine, meglio restare a casa»

Dimenticare Udine, per ripartire subito. Interrotta la striscia record dei quindici risultati utili e consecutivi, il Torino inizia a pensare alla sfida di Europa League con lo Zenit. Ma Giampiero Ventura, intervistato dai microfoni de ‘La Stampa’, fatica a digerire il passo falso di domenica: «La squadra ha dato tanto in questi ultimi tre mesi, ma resta il rammarico perché, con tutto il rispetto per l’Udinese, la gara di domenica era alla nostra portata».

LA SVOLTA – Dopo un avvio difficile, i granata hanno saputo riprendersi. Adesso, però, c’è il rischio ‘appagamento’: «La risposta la darà il campo, ma ormai ne ho sentite talmente tante sul nostro conto che non ci faccio più caso. Resta il fatto che la squadra, che a ottobre tutti davano per retrocessa, è ottava in classifica davanti a formazioni come il Milan. Non c’è stato un momento particolare, è stato più un processo di crescita graduale: abbiamo capito quale era la strada da seguire. All’inizio eravamo reduci da un’annata straordinaria, le aspettative sono aumentate, ma sono andati via anche tanti giocatori di grande spessore offensivo. Bisognava cominciare a ricostruire». 

SENZA PAURA– Tutto pronto, dunque, per il primo atto a San Pietroburgo. Ma Ventura lancia un segnale molto forte ai suoi: «La sfida contro lo Zenit è una grande opportunità. Sarebbe riduttivo parlare solo di grande squadra, perché il club russo è uno dei due più accreditati per vincere l’Europa League. Ma vale lo stesso discorso fatto con l’Athletic Bilbao. Se a San Pietroburgo ci va il Toro visto contro l’Udinese, possiamo anche restare tutti a casa. Se invece giochiamo come contro gli spagnoli, niente ci è precluso». 

I MIEI– E se il Toro vola, i suoi ex, Immobile e Cerci, faticano ad ingranare, specie l’esterno romano: «Certi argomenti sarebbe meglio non affrontarli, soprattutto in una città come Torino. L’ambiente conta, tutto ciò che accade è frutto di un lavoro che viene fatto alle spalle. Non basta mettere in campo delle figurine, contano l’allenatore, la società e anche il gruppo che si ha intorno». 

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