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Spalletti: «Nessun limite per gli Europei, dipende da quanto l’Italia saprà migliorarsi»

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Importante intervista di Walter Veltroni a Luciano Spalletti sul Corriere della sera. Ecco alcune delle risposte del Ct della Nazionale italiana

Importante intervista di Walter Veltroni a Luciano Spalletti sul Corriere della sera. Ecco alcune delle risposte del Ct della Nazionale italiana.

COSA DIREBBE A LUCIANO BAMBINO«Gli direi di prepararsi a un mondo in cui niente è mai scontato e tutto è possibile. Spesso mi chiedo se sarei disposto a rifare tutta la fatica della mia vita. La risposta è sì. Il bello del vissuto è lì dentro, in quella stanchezza, in quella testardaggine con la quale si cerca sempre di migliorare. Non da soli, con gli altri. La qualità della vita è il contatto con le persone e le situazioni, il mutare sempre restando sé stessi. Io ero un ragazzino che passava tutto il giorno al campetto, uno di quelli che bisognava chiamarlo dieci volte, quando faceva buio, perché salisse a casa, uno di quelli che i compiti li faceva la sera, perché prima di tutto c’era il pallone. Che è sempre stato il mio regalo preferito, da bambino. Anche se ne avevo tre o quattro, ne volevo sempre uno in più, dalla nonna. Avevo paura di restare senza».

IL FRATELLO MARCELLO«È stato tutto. E di più. Lui giocava al calcio, aveva visto che ero bravino ed era orgoglioso di me. Mi proteggeva e, insieme, mi spingeva sempre a migliorare. Se ne è andato anni fa, per un tumore. Ho sofferto molto».

OBIETTIVO PER GLI EUROPEI«Non mi pongo limiti, dipende solo da quanto riusciremo a migliorare, in primo luogo dentro di noi. Ci sono tanti giocatori giovani che possono crescere, come Scalvini, Udogie, Scamacca e davanti abbiamo, con Retegui, Raspadori, Kean, Immobile molto più di quanto si pensi. Raspadori, ad esempio, è un ragazzo fantastico: non rinuncia a impegnarsi né in allenamento né nel preparare uno dei suoi esami universitari. Fammi dire anche che Chiesa è uno di quei giocatori che appartengono alla rara bellezza del calcio degli illusionisti. Calciatori come lui fanno la fortuna degli allenatori, ti regalano soluzioni che non esistono in nessuna mia lavagna. Le qualità dei giocatori di talento sono superiori alle indicazioni che un tecnico può dare».

UNA SERIE A PIENA DI STRANIERI«È vero, ma Bearzot poteva scegliere solo in una serie A allora ricchissima. Io posso selezionare giocatori italiani in ogni parte del mondo, ma la cosa che mi preoccupa di più è proprio che ci sono pochi italiani titolari, ovunque. E comunque io non cerco scusanti, non alleno i miei alibi. Quello che non va bene, secondo me, è che i talenti italiani che emergono nel campionato primavera vengano poi mandati a farsi le ossa nelle serie inferiori o si siedano in panchina. Io esorterei le società a inviarli a sperimentare le prime divisioni straniere e ad abituarsi alle pressioni, al bisogno di risultati. Il mondo cambia e la nostalgia non aiuta. Il calcio è stato investito dalla globalizzazione e bisogna massimizzarne gli effetti positivi».

LE SCOMMESSE«La storia delle scommesse è profonda. Basti leggere quello che ha detto Cairo, l’altro giorno. Le pubblicità che vengono proposte tre o quattro volte a partita. Le società di scommesse come sponsor. Ci si indigna, ma si pubblicizza una cosa che ha ragione di esistere solo economicamente e in nessun modo eticamente… Purtroppo le scommesse non sono solo una piaga nel mondo del calcio, ma spesso lo sono sul piano sociale, esistono famiglie rovinate da una “malattia”, una dipendenza, che purtroppo all’economia fa comodo tenere in piedi. È un po’ come il discorso delle sigarette, e lo Stato che le rende legali. Vedere ragazzi che non hanno talento o fortuna è triste ma c’è qualcosa di più amaro e di più insopportabile del non avere talento o fortuna: è avere l’uno e l’altro ma non saperli riconoscere e apprezzare. Questo per me fa la differenza tra un uomo vero e un uomo apparente. Dico sempre ai miei giocatori di pensare che sugli spalti c’è gente che si è fatta un mazzo così tutta la vita, che ha faticato, in ogni campo, per migliorarsi e che si aspetta lo stesso da persone che paga per vederle in uno stadio, alle quali consegna cuore ed emozioni, e dalle quali si aspetta impegno. Perché tutti vogliono bene a Sinner? Perché in quel ragazzo, nel suo gioco e nei suoi risultati, si vede il segno della fatica, delle ore spese per migliorarsi».

I FISCHI DELL’OLIMPICO ALL’ADDIO DI TOTTI«Quei fischi mi dispiacquero molto. Io sempre cercato di fare il bene della Roma, con la quale abbiamo fatto un bel gioco e ottenuto bei risultati. E ho cercato anche di fare il bene di Totti, che è stato uno dei più grandi giocatori del nostro calcio. Per me riabbracciarlo è stato come una liberazione».

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