2020

Solida, efficace e poco spettacolare: l’Inter di Conte ricorda quella dei record del Trap

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La Gazzetta dello Sport offre un parallelismo tra l’attuale Inter di Antonio Conte e quella dei record guidata da Trapattoni

Stamane La Gazzetta dello Sport offre un parallelismo tra l’Inter di Antonio Conte e quella dei record del 1988-1989 guidata da Trapattoni. C’è uno stesso spirito forgiato tra le critiche, una simile voglia di superare le difficoltà, un inciampo europeo che può diventare occasione in patria. E un talento pronto a trascinare la truppa. Ieri Lothar Matthäus, campione “totale” arrivato quell’anno assieme a Brehme (oltre a Diaz e Berti), trascinante per carisma e qualità. Oggi la leadership è sulle spalle larghe di Romelu Lukaku, che butta giù i muri come il tedesco. Il belga si intende al buio col gemello Lautaro e quel feeling istintivo ai più romantici ricorderà Serena (capocannoniere con 22 reti) e Diaz, coppia tra le più micidiali della letteratura nerazzurra.

E poi ci sono i tecnici illuminati dallo stesso passato, ex juventini chiamati a riportare il successo dopo anni a casa della vecchia rivale. Per farlo, non inseguono utopie ma sano realismo. Si vince con la ferocia e servono scelte radicali: nel 1988 fu venduto un totem come Altobelli, ora è Eriksen ad avere la valigia in mano. Capitolo difesa: oggi Skriniar e Bastoni chiudono gli spifferi, come facevano capitan Beppe Bergomi e il suo compagnno Riccardo Ferri. Andrea Mandorlini, libero vecchia scuola, dirigeva da dietro un po’ come ora De Vrij, centrale in questo rigido 3-5-2.

Poi non è un caso che Berti si sia paragonato a Barella, mentre Brozovic inizia a mostrare fosforo da regista quasi quanto Matteoli, Vidal non sarà mai Matthâus ma può rivestire la stessa personalità del tedesco. Il Trap sgasava a sinistra con Brehme, altro talento tedesco unico e non replicabile, mentre Conte sfonda dall’altro lato con la gioventù di Hakimi. La destinazione è sempre la stessa, anche se la parola “scudetto” è diventata tabù.

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