2016
Siria, 5 anni di guerra: il calcio sogna in un Paese distrutto
Siria e guerra civile: dal campionato alla nazionale fino al risvolto globale, dallo Stade de France al papà di Bulut
A cinque anni esatti dallo scoppio della rivolta al regime di Bashar al-Assad la Siria è un Paese distrutto: mezzo milione di morti, altro mezzo milione che vive attualmente sotto assedio nelle principali città siriane, 11 milioni di profughi la cui fetta maggiore vaga per l’Europa senza una meta e privata dei diritti elementari, 12 milioni di persone che all’interno della Siria non possono accedere all’acqua potabile, poco meno vivono in condizioni di totale insicurezza alimentare e sanitaria.
DRAMMA SENZA FINE – Numeri che peraltro vanno intesi al ribasso: dalla seconda metà del 2015, complice il progressivo quanto drammatico sviluppo dei fatti, l’Onu – così come le principali organizzazioni non governative, vedi Amnesty International o l’UNHCR – non riesce a quantificare in piena esattezza i flussi inerenti alla popolazione siriana. Ad ogni modo, se il censimento del popolo siriano prima dello scoppio della guerra civile contava circa 24 milioni di abitanti, bastano un paio di addizioni per intendere come metà della popolazione si sia rifugiata presso altri Paesi (chi è riuscito a scappare alla morte) e l’altra metà viva ancora in patria ma in condizioni disumane. Soglia di povertà vicina al 90% ma triplicata rispetto al 2011: perché, fattore poche volte ricordato dalle ricostruzioni storiche, la Siria era tutt’altro che un Paese debole. Anzi, forte di un ottimo tasso di istruzione – crollato negli ultimi cinque anni – ed un florido mercato del lavoro: l’inclusione sociale e lavorativa è ora del tutto assente e la speranza di vita di un uomo siriano è ai minimi termini umanitari. Le abitazioni sono distrutte: Damasco e le altre città siriane – tra cui alcune (Palmira su tutte) patrimonio Unesco – sono letteralmente in ginocchio.
IL CALCIO IN SIRIA – Il tutti contro tutti tra Isis, forze governative, forze ribelli, curdi ed altri corpi rivoluzionari o di resistenza sparsi nei gangli del Paese non ha steso il gioco più bello del mondo: il calcio. Andiamo oltre la retorica: se volete trovarla anche qui, sono problemi vostri. Il rumore delle bombe e l’erba dei campi che non cresce più non rende la Premier League siriana il torneo più appetibile, ma in Siria si gioca a calcio ed è questa la notizia più appagante che un giornalista possa dare. Il campionato, dopo l’interruzione del 2011 per cause di forza maggiore, si è riformulato in due gironi da nove – si gioca principalmente a Damasco e Latakia, le due città dove l’esercito riesce a conservare una sorta di controllo – attualmente dominati dall’Al Jaish, la squadra dell’esercito appunto, nonché quella più titolata nella storia del calcio siriano, e dall Al Ittih Aleppo. No, senza che lo domandiate: non è il campionato più lineare che abbiate mai seguito. C’è chi ha disputato 17 gare, chi allo stesso tempo 13 e chissà quando e se recupererà le partite che gli spettano – il motivo dei rinvii potete anche immaginarlo e non è la pioggia – o chi nell’altro girone prova ad opporsi alla squadra dell’esercito, forte di nove vittorie ed un pareggio. Ma abbiamo il calcio e le storie che si porta dietro.
LA NAZIONALE – Come quella della nazionale di calcio siriana: la qualificazione all’ultima Coppa d’Asia, quella disputata nel 2015 e vinta dall’Australia in finale sulla Corea del Sud, non è stata centrata per evidenti ragioni. Ma l’orgoglio dei calciatori siriani è una delle pagine più belle degli ultimi anni di sport: il tempo di riorganizzarsi per presentarsi in campo ed andare oltre i propri limiti. Sì, perché la Siria – nell’attuale tornata di qualificazioni alla prossima AFC Asian Cup, che si giocherà nel 2019 negli Emirati Arabi Uniti – è al secondo posto del suo Gruppo E alle spalle del Giappone: 15 punti in sei gare, cinque vittorie (1-0 al Singapore, 5-2 all’Afghanistan e le tre roboanti vittorie esterne sui campi delle due già citate e della Cambogia – ed una sconfitta rimediata proprio dal Giappone.
STORIA DI UOMINI – Miglior attacco del raggruppamento con 20 reti all’attivo, il marcatore più prolifico è il classe ’94 Omar Khribin con 5 gol, che come tanti altri connazionali gioca momentaneamente in Iraq. Pochi anni fa accadeva esattamente l’inverso: con l’Iraq nel pieno della sua guerra, i principali calciatori iracheni si trasferivano proprio nel campionato siriano. Corsi e ricorsi storici. E’ una nazionale che manda in gol tanti suoi esponenti: a quota 4 c’è Osama Omari che invece ha scelto di militare in patria con la maglia dell’Al–Wahda, con 3 reti ecco il classe ’93 Mahmoud Al Mawas che ha scelto il Bahrein come trampolino di lancio per il futuro che verrà. Con due reti si iscrive nel novero delle qualificazioni la storia della nazionale siriana: Raja Rafe, che con oltre 70 presenze e 32 gol è il miglior marcatore in attività della Siria. Rivelatrici sono le dichiarazioni di un altro calciatore di spicco della compagine, sicuramente il più talentuoso e qualitativo: Abelrazaq Al-Hussein, che attualmente gioca in Libano con la maglia dell’Al–Ahed.
IL SENSO DELL’APPARTENENZA – Il numero 10 siriano ha spiegato senza troppi giri di parole il senso della sua nazionale di calcio: “giochiamo per un Paese, per una squadra, per una famiglia. Non importa che tu sia musulmano sciita o sannita, cristiano o di altra fede e confessione: apparteniamo a tutte queste. E scendiamo in campo per la Siria che fu, un popolo unito”. Quando le parole urlano così forte non servono spiegazioni ulteriori. Per la cronaca: in piena esplosione della rivolta, nel 2012, la Siria vinse per la prima volta nella sua storia il Campionato di Calcio della Federazione dell’Asia Occidentale, torneo a cui prendono parte le selezioni non invitate alla Coppa delle nazioni del Golfo, in finale sull’Iraq. Sempre per la cronaca: le qualificazioni alla prossima Coppa d’Asia sono valevoli anche per i primi due round di qualificazioni al prossimo Mondiale di Russia 2018. Accederanno al terzo round le quattro migliori seconde ed attualmente la Siria è la migliore seconda classificata: così si giocherebbe una clamorosa pagina della sua storia nel round finale. Che storia, vero?
RISVOLTI GLOBALI – Il capitolo finale va alla proiezione esterna della Guerra di Siria: il terrorismo perpetuato dall’Isis nel resto d’Europa ha trovato sfogo principale nella Francia, prima con l’irruzione nel settimanale satirico Charlie Hebdo, poi con il massacro dello scorso 13 novembre, sempre a Parigi. Nell’occasione persero la vita 130 innocenti civili, di cui molti giovani presenti nel famoso club francese Bataclan per assistere al concerto della band statunitense Eagles of Death Metal. Ma tra gli obiettivi sensibili dei terroristi rientrava persino un clamoroso attentato allo Stade de France: in corso l’amichevole tra Francia e Germania, presenti tra l’altro i rispettivi presidente della Repubblica Holland e Cancelliera Merkel ed altri 80.000 spettatori, gli spari uditi a partita iniziata nei pressi dell’impianto non impedirono il regolare svolgimento della sfida ai fini di contenere una palpabile e crescente tensione. Non si scese in campo invece quattro giorni dopo ad Hannover per l’amichevole tra Olanda e Germania, causa il rischio di un allarme bomba, mentre in Inghilterra nell’ineguagliabile scenario di Wembley suonava l’inno di Francia. Non si giocò neanche al Re Baldovino di Belgio, altro Paese da intendersi come sito sensibile per presenza di fondamentalisti jihadisti, pronto a ricevere la Spagna in amichevole. Ed è tuttora in corso il dibattito sulle misure di sicurezza – anche estreme – da prendere in vista dell’imminente Euro 2016. In Francia, esattamente. Ma non soltanto Isis: i recenti attentati di Ankara in Turchia, i cui maggiori sospettati fanno capo al PKK curdo (parte in causa nella guerra civile siriana), hanno visto rientrare tra i 37 morti ufficiali il padre di Umut Bulut, noto attaccante di Galatasaray e nazionale turca, che si era recato ad Ankara proprio per veder giocare l’amato figlio sul campo del Genclerbirligi. Terminerà 1-1, ma cosa importa: in campo non ha perso nessuno, fuori un po’ tutti.