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Sinisa Mihajlovic, il coraggio e l’orgoglio

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La carriera di Sinisa Mihajlovic, sia da giocatore, con le sue punizioni magistrale, che da allenatore fino alla malattia

Sinisa Mihajlovic è stato oggetto di studio: quando giocava nella Stella Rossa i suoi calci di punizione vennero indagati dai ricercatori del dipartimento di fisica dell’Università di Belgrado. Tiri supersonici, che hanno unito Jugoslavia e Italia perché anche da noi, in Serie A, appena piazzava il pallone si poteva tranquillamente ipotizzare che facilmente sarebbe stato gol. E quando a fine carriera gli proponevano di valutare altri specialisti, fatalmente gli scappava un sorriso, perché lui sapeva quanto si era dedicato a specializzarsi e non temeva
paragoni con nessuno.

Del resto, il coraggio e la sfrontatezza, il compiacimento di sentirsi forte e l’orgoglio per quanto fatto, hanno unito le diverse versioni di Sinisa Mihajlovic che abbiamo conosciuto. Quelle in campo, che dal 1992 al 2006 lo hanno visto diventare una presenza abituale del calcio italiano con la Roma, la Sampdoria, la Lazio e l’Inter. Ogni volta, è sembrato compiere un miracolo: rimanere profondamente se stesso e in qualche maniera assumere l’anima del club per il quale prestava servizio.

Da allenatore, fatalmente, i rapporti con le società sono diventati più burrascosi. Ma in un calcio progressivamente più asettico, è stata proprio la sua sincerità a venire apprezzata fino in fondo dai tanti ambienti che ha frequentato. Dal Bologna al Bologna, la prima e la sua ultima squadra, passando attraverso esperienze con Catania, Fiorentina, Sampdoria, Milan e Torino. Ovunque, un combattente. Uno che guardava negli occhi tutti: giocatori, presidenti, tifosi e media. Fino a quando ha incontrato la malattia, della quale ha parlato pubblicamente con trasporto, sofferenza, persino ironia. Regalando speranza, a se stesso e a quanti si sono trovati a vivere la sua stessa battaglia. Un suo giocatore alla Sampdoria, Angelo Palombo, quando lo ha visto allenare ha detto una cosa semplice, una di quelle frasi normali e che invece dicono tutto:  «Mihajlovic non mi sorprende: si vede quel che vale».

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