2014

Sesso, droga e van der Meyde

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La storia di Andy van der Meyde: un talento immane dilapidato tra donne, sesso e droga

Andy van der Meyde ha una cosa che lo accomuna a Johan Cruijff. A dire il vero ne ha più di una, perché come lui è olandese ed è diventato grande grazie all’Ajax, ma è una quisquilia in particolare che lo rende quasi uguale al grande Profeta del gol: il digramma ij. IJ infatti è la venticinquesima lettera dell’alfabeto olandese e al di fuori delle terre neerlandesi si traduce come una semplice Y, quindi Cruyff e non Cruijff e dunque van der Meyde e non van der Meijde. Poi c’era un’altra cosa che avrebbe potuto accomunare i due giocatori, anche se Johan resta Johan e Andy è qualche gradino più in basso, vale a dire il talento. Perché Andy van der Meyde o van der Meijde, nato ad Arnhem il 30 settembre del 1979, è di gran lunga uno dei maggiori talenti sprecati degli ultimi venti anni. La vita di Andy scorre via liscia fino a una sera di Champions League di marzo del 2003. Fino a quel punto l’olandese è un’ala dalle spiccatissime doti offensive che gioca a sinistra pur essendo destrorsa, uno dei primi a farlo anche se non è propriamente un precursore. Il 19 marzo del 2003 però non è un giorno come un altro perché se fino ad allora la sua classe era riconosciuta perlopiù solamente in Olanda, adesso van der Meyde ha un’occasione d’oro. Siamo a Roma e sono passati trentatré secondi sul cronometro, la palla arriva a sinistra ad Andy che stoppa e converge verso il centro, cercando il piede destro. La sua chioma bionda fluente si alza e si abbassa a intervalli regolari e cadenzati in base alla sua andatura. Van der Meyde salta Tommasi e dal limite basso dell’area con un tiro violento la mette al sette, lui che il sette ce l’ha sulle spalle. L’Olimpico ammutolisce ma lui, spavaldo, si inchina e fa finta di sparare, di essere un cecchino, un’esultanza che in quegli anni farà il giro del mondo.

2003 March 19 AS Roma Italy 1 Ajax Amsterdam Holland 1 Champions League

Di van der Meyde quella sera si accorgono i dirigenti dell’Inter. Quel gol vale l’accesso ai quarti di Champions e la fama di van der Meyde va vieppiù aumentando. E’ un’Inter spendacciona quella dell’estate 2003, che compra giocatori uno dopo l’altro in modo molto bulimico e senza capirci granché, però su van der Meyde sembra vederci bene. Cuper lo schiera sempre titolare agli inizi e l’olandese lo ripaga con un gol bellissimo a Highbury contro l’Arsenal in un 3-0 da far rivedere ai nipoti, ma poi le cose cambiano. Viene assunto Zaccheroni e alle prime difficoltà in campo van der Meyde viene spedito in panchina, dalla quale si alzerà poco spesso. Milano però è una città troppo glamour per i calciatori, è facile perdersi in un bicchier d’acqua, anche se poi effettivamente di acqua non si tratta. Pur essendo sposato e con due figli, van der Meyde decide di dedicarsi alla bella vita ed è proprio lì che il suo talento comincia a venir meno. Il giocatore che aveva reso grande l’Ajax per l’ennesima volta e che era stato capace di far bene in qualsiasi ambito, addirittura in nazionale con un gol all’esordio, adesso è solamente un’anima persa per Milano. E’ l’inizio della fine anche se i titoli di coda sono lontani.

La classe di van der Meyde viene sempre meno, in campo è lontano parente di quell’esterno che da sinistra si accentrava mandando in orbita i difensori e in visibilio i tifosi. Dopo soli due anni all’Inter conditi da molta Coppa Italia, Andy decide di trasferirsi altrove. C’è l’opzione Monaco, ma la moglie non accetta per via degli animali domestici, in particolar modo quelli esotici. Animali domestici?!? Sì, la signora van der Meyde o van der Meijde o chicchessia ama gli animali e a Monte Carlo un appartamento non sarebbe abbastanza per lei e per i suoi cuccioli. Per Andy non rimane altra soluzione che l’Inghilterra, la Premier League è il suo step successivo e l‘Everton è il club dove cercherà di rilanciarsi e grazie al quale la consorte può serenamente veder scorrazzare o svolazzare i propri animali per le lande della Mersey, per inciso zone non adattissime per vivere allo stato brado. I problemi non finiscono qui, perché lo spettro dell’alcol è sempre dietro l’angolo; se l’unica bega fosse stata però qualche bicchiere di troppo, forse adesso staremo parlando di un giocatore diverso, il fatto è che van der Meyde inizia pure a far uso di droghe: se non è andata bene a Maradona, il calciatore più forte della storia, figuriamoci se il dio del calcio ha intenzione di graziare il povero van der Meyde.

Non c’è rehab che tenga, il sodalizio tra gli alcolici e Andy è qualcosa che va di là del semplice amore. L’Everton ha comprato un giocatore svuotato, che ogni tanto fa brillare la sua luce e il suo talento, ma per di più si dimostra bolso e lento. Durante il suo secondo anno una crisi respiratoria dovuta all’eccesso di alcol e droga lo fa ricoverare d’urgenza in ospedale e gli costa una salatissima multa da parte dell’Everton, ma soprattutto viene meno la fiducia di mister Moyes. Andy accuserà il coach, salvo poi pentirsi anche se la retrocessione nella squadra riserve è ormai inevitabile. 23 gare in quattro anni e da potenziale fuoriclasse, van der Meyde è ormai una vecchia stella di Hollywood, di quelle che hanno fatto due o tre film girati bene ma poi si sono persi dietro a commedie ridicole. Tipo quella che vede coinvolta per l’ennesima volta sua moglie: la signora van der Meyde torna in Olanda per curare il secondogenito, ma è dubbiosa riguardo la fedeltà del marito e quindi manda un detective sulle tracce del giocatore. Detto fatto, si scopre una (ufficialmente una, ufficiosamente un miliardo) relazione extraconiugale che manda ancor più sul lastrico l’olandese.

Lasciato l’Everton, van der Meyde si accasa al PSV ma straccia subito il contratto. Con un po’ troppa pancia e i capelli ormai rasati a zero per nascondere un’evidente calvizie, il fu fenomeno sulla fascia sinistra tenta l’ultima apparizione al WKE di Emmen. Sognava una serata d’addio alla Josephine Baker, e invece dopo sei gare nelle divisioni inferiori olandesi lascia il calcio giocato a poco più di trentun anni. E’ l’ombra di quel che poteva essere: calciatore straordinario, dai piedi di velluto e dal grande cervello come molti olandesi. Invece è andata così, Andy si è trovato solo e depresso e ha potuto solamente trovare conforto in cose che la legge non ritiene così amichevoli. Tanto talento, tanta bravura, tanta poca costanza e tanta poca forza di volontà, e se si vuole anche un po’ di sfiga: questo è stato van der Meyde. L’ultima sua apparizione pubblica, un po’ ingrassato e con un pizzetto alla Serse Cosmi, è stata a maggio in patria come direttore di gara. Ha arbitrato la Lingerie World Cup, la coppa del mondo di calcio a 4 giocata da giovani donzelle in biancheria intima abbastanza sexy. Il lupo perde il pelo ma non il vizio.

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