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2012

Se devo morire voglio farlo con eleganza

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Raramente in tuta, sovente in giacca e camicia, con una cravatta più che nobile: capelli brizzolati, sguardo sicuro, serio, armonioso nei suoi tagli poco dolci e docili. Pungente, conscio della propria forza. Arrivò così Gianluca Atzori a Genova, direttamente da Reggio Calabria, là  dove aveva compiuto un quasi miracolo con la squadra amaranto, giovane e strappata al sogno Serie A solo dai playoff: arrivò con eleganza. Al suo annuncio sembrava stessimo dinanzi ad una terribile coincidenza: visiti Collepardo, il paese nel quale è nato Atzori, nella più profonda Ciociaria, per poi innamorartene subito, cosa rara davvero per quanto mi riguarda nei confronti di una cittadina, di un paesino, per me che ho i natali nella culla dell’amenità . Ho visitato Collepardo quando di Atzori ancora si parlava male a Catania, lontano da ogni possibilità  di vederlo in blucerchiato: ci siamo ritrovati a distanza di due anni, in situazioni diverse, dopo un sogno Champions League, dopo aver perso Antonio Cassano e Giampaolo Pazzini, senza voler assolutamente nulla togliere a Reto Ziegler e a Guido Marilungo o anche a Stefano Lucchini, dopo una retrocessione, dopo aver cantato anche dopo questa situazione, come diceva il compianto Mantovani. Ci siamo ritrovati come una donna che si intravede per strada e che dopo due anni scopri essere quella giusta per te. Elegante, armoniosa, sicura di sè, romantica.

Poi ci siamo persi. Ci siamo persi per tante cause, ma in particolar modo per il Torino di Giampiero Ventura, schiacciasassi all’epoca, per la Nocerina di Gaetano Auteri, chiamata alla partita della vita, e per il Vicenza di Gigi Cagni, divenuto principe della vendetta al Luigi Ferraris. 7 pareggi, 5 vittorie e 3 sconfitte è quanto Atzori ha portato a Genova nelle sue 15 partite, qualcuno dirà  niente di eccezionale, qualcun altro dirà  che Iachini sta facendo mediamente meglio, ma per tirare le somme non è sicuramente facile: certamente il tecnico di Collepardo, o di Ravenna, se preferite, non ha rispettato le aspettative, non ha soddisfatto quello che i doriani si aspettavano. Il predominio à  la Torino, che ora già  vacilla, però. Non aveva regalato convinzione nemmeno nella fase di preparazione al campionato, ad essere sinceri, ma parlava da vero generale, indicava con grande sapienza, amministrava da stratega d’altri tempi. Sempre con eleganza. Quanto di buono abbia fatto non è chiaro, ma prima di Nocera aveva imparato a lottare contro Golia, contro un disastro palesatosi la stagione precedente. Quello che è sicuro è che Beppe Iachini, arrivato all’indomani del rifiuto di Roberto Donadoni e della sconfitta col Vicenza, fino ad ora ha raccolto 5 pareggi, 2 sconfitte e una sola vittoria, all’Euganeo, contro un Padova spento, il peggiore dell’anno. Nemmeno Juan Antonio e Gaetano Berardi, i due innesti arrivati a gennaio e pagati insieme intorno ai 5 milioni di euro, sono serviti ad aiutare l’ex tecnico del Brescia. Un fallimento tattico, tecnico, psicologico.

Con un cappello in testa, sempre, con la sua testa poco armoniosa, davvero poco, col suo sguardo da mastino, con le rughe a confermare la somiglianza, e col suo ostentare eleganza. Così è arrivato Iachini: niente di romantico, niente di elegante, niente di blucerchiato. Sposta la panchina al Ferraris, perchè a sinistra non ci vuole stare, mette Angelo Palombo in panchina, e qui gli si dà  ragione ai danni di Atzori che non ne ebbe il coraggio, lancia Nedad Krsticic, à  la Eric Abidal, e muta la posizione di Cristian Bertani, l’uomo cardine del gioco di inizio stagione. Qualcuno lo esalta, qualcuno dice che ci porterà  in Serie A, qualcuno lo contesta timidamente, ma per ora il danno lo ha fatto Atzori, per i più. Ci porterà  in Serie A, dicono, ma per ora ci ha portati a 7 punti dalla zona playout, ma anche a 4 lunghezze dal sesto posto, l’ultimo valido per i playoff. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno, perchè no: basta una vittoria e un pareggio per arrivare al sesto posto, e manca ancora tutto il girone di ritorno, tranne Padova e Livorno. Fattibile, sicuramente, ma il rischio si palesa pensando all’opzione nel contratto di Iachini: se arriva in Serie A resta un altro anno. Guai a pensare che si esonera a favore di un altro: la Sampdoria non può permettersi tre allenatori sul groppone, soprattutto dopo che ha avuto la fortuna di liberarsi di Gigi Delneri, ora a libro paga della Juventus, di Domenico Di Carlo, al Chievo, e Alberto Cavasin, il cui contratto scadeva il 30 giugno 2011: quattro allenatori fatti fuori in un anno, tre se contiamo che Delneri ci aveva visto lungo. Con un Atzori da pagare, un Iachini da soddisfare e un terzo allenatore da ingaggiare sicuramente i Garrone deciderebbero di fare una campagna acquisti pari a quella per fronteggiare la Champions League: un portiere finito a fare il terzo alla Roma e via, verso Brema, per la gloria.

Alla vigilia di Gubbio è difficile pensare ad un Iachini che all’improvviso inizi a macinare punti, dare gioco alla Sampdoria, riprendersi il terzo posto, anche il quarto, assicurandosi l’accesso ai playoff con gloria, con armonia, con giustezza. Sensibile parla di carri, carri sui quali salire a giugno, ma non ci sarà  alcun carro. A meno di miracoli, a meno di un Martin Eder sceso in cadetteria per salvare una nave arenata, sarà  Serie B anche l’anno prossimo: non c’è nulla cui aggrapparsi, nemmeno la bandiera che andò a piangere sotto la curva dopo la sconfitta col Palermo. Canteremo anche stavolta, però, perchè siamo tifosi strani, siamo tifosi che hanno imparato a soffrire, a cantare quando se ne andò Vialli, quando se ne andò Mancini, quando Koeman ci punì a Wembley, perchè avevamo osato troppo, avevamo superato Gibilterra. Anche se canteremo, però, sarà  un morire. Allora esprimo un desiderio, l’ultimo per chi non è più domenica da maggio: se devo morire voglio farlo con eleganza, con Gianluca Atzori.

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