2013
Sampdoria, Rossi: “Mi metto a disposizione, a Genova…”
SAMPDORIA ROSSI – Un’interessante intervista, quella che i colleghi della Gazzetta dello Sport hanno realizzato con Delio Rossi, l’artefice della rinascita della Sampdoria. Il tecnico dei blucerchiati ha fatto capire qual è la sua ricetta per riuscire a lavorare bene, in un ambiente caldo e passionale come quello genovese, dove di recente si è subita anche l’onta di una retrocessione: “Io mi metto sempre a disposizione dei giocatori, a patto che loro si mettano a disposizione della mia squadra, non di me stesso. E’ ben diverso. Vado in difficoltà quando un giocatore cura di più i suoi interessi rispetto a quelli della squadra. E lì rompo. Non sono un gestore di uomini, nè un traghettatore o un aggiustatore. Allenatore è chi allena a 360 gradi il gruppo. Io maestro? Mi hanno aiutato molto il lavoro nel settore giovanile e la gavetta. Se hai un gruppo più giovane, devi essere riferimento tecnico e morale. Quelli più anziani devono essere riferimento morale. Come accade qui alla Samp: la mia fortuna. Si può essere felici anche se non si vince? Non ho la pietra filosofale del calcio. Faccio il dipendente. Se fossi presidente e allenatore, sceglierei io gli uomini e giocherei a modo mio. Un giorno a Cosenza il presidente mi chiese di non spendere, di valorizzare i giovani e vincere il campionato. Gli risposi: c’è qualcosa che non quadra. Queste cose le faceva uno solo, ma l’hanno messo in croce duemila anni fa. Sono retrocessi. Il rinnovo del contratto con la Sampdoria? Mi fa piacere, ma nel mio contratto c’è una postilla che prevede di rivederci prima di maggio per valutare il futuro. Prima vorrei avere la certezza di giocare in A l’anno prossimo. Dal primo giorno qui ho avvertito grandi aspettative e grande stima e rispetto senza avere fatto nulla. Il rispetto dei sampdoriani nasce dall’applauso che rivolsi loro quando conquistai la coppa Italia con la Lazio. Ho pensato che un giorno mi sarebbe piaciuto allenare qui paradossalmente nel giorno della retrocessione della Samp, quando vinsi a Genova con il Palermo. Alla fine loro furono applauditi da 20 mila persone con la morte nel cuore. “In questo posto si può fare calcio”, pensai. La logica comune dice che chi vince è più bravo e chi perde è un coglione, ma una cosa del genere mi era capitata solo a Bergamo.“