2015
Ruggiero Rizzitelli, scusi chi ha fatto palo?
«Quando ci giocavo io, con la maglia del Bayern, la Bundesliga era già avanti anni luce rispetto alla serie A…»
Il tempo di chiamarlo al cellulare e fissare un appuntamento e lui è già pronto, esattamente come quando giocava e non si lasciava sfuggire una palla in area (magari dopo essersi già fatto una bella corsa lungo la fascia esterna). «Se te la senti, l’intervista possiamo realizzarla anche subito, senza problemi». L’accento è strano: c’è ancora un po’ di foggiano sullo sfondo, ma la cadenza di Ruggiero Rizzitelli ormai è definitiva liasion d’amour con la Romagna. Quella stessa Romagna che l’ha catapultato nel grande football (la stagioni felici di Cesena ai tempi del buon Edmeo Lugaresi) e poi – bang! – un bell’assegno a nove zeri (e nove miliardi di numero) staccato dalla Roma di Dino Viola per farlo diventare un gladiatore del nostro calcio. Seconda punta per vocazione, alto il giusto per inzuccare di testa, rapido, generoso, instancabile: gli anni ’80 stavano finendo, ma la favola di Rizzi-Gol era lì lì per cominciare. Con tappe successive a Torino in maglia granata («Spero tanto che Quagliarella batta la Juve con un suo gol nel derby. Sono stufo che il Toro non vinca una sfida stracittadina dal lontano 1995, anche se in quel caso – sia all’andata che al ritorno – fu per merito delle mie segnature.») e al Bayern Monaco dove – sotto la guida accorta del Trap – s’è meritato un Meisterschale ed una Coppa di Germania. Sempre col sorriso sulle labbra e qualche salutare incazzatura qua e là. Perché il calcio dovrebbe essere sempre così, esattamente coma la vita. Prima ti arrabbi e poi te la butti alle spalle. Sperando di non fare mai palo; e se anche succede, amen, la prossima volta andrà dentro.
Allora Ruggiero, come va?
«Bene, vivo a Cesena e a questo giro mi riposo. Dopo cinque anni di collaborazione con Sky mi sono preso una pausa perché, alla lunga, sempre le stessi voci annoiano. (ridacchia) Meglio così: dopo tanti anni spesi tra campi da gioco e televisione, ora le domeniche me le godo completamente.»
Sapevo che ti eri messo nel ramo della ristorazione…
«Sì, ero arrivato a gestire fino a tre ristoranti, ma quelli di Roma nel frattempo li ho ceduti e mi sono rimaste le quote del Lucullo, un locale di Cesena; ma non me ne occupo personalmente, preferisco delegare.»
Insomma, sei tornato definitivamente a casa. Nel senso di quella Romagna che ha battezzato i tuoi primi successi calcistici.
«Esatto, dopo gli anni di Piacenza (dal ’98 al 2000, Ndr) avevo quasi deciso di smettere: mi voleva il Palermo, ma io non me la sentivo di trasferirmi ancora in giro per l’Italia. Così quando Edmeo Lugaresi mi chiese di tornare a Cesena, optai per una scelta di cuore. Paura del dopo-calcio? Macché, in Romagna mi spettavano ben due anni di contratto, ma nel 2001 dissi basta di testa mia e abbastanza serenamente. Avevo voglia di godermi la vita, fare altro.»
E così hai incontrato sul tuo cammino Simona Ventura e Gigi Maifredi…
«Sì, alla trasmissione Quelli Che Il Calcio il Maifredi Team cercava ex calciatori in grado di riprodurre i gol segnati in serie A ed io mi sono detto: ‘Perché no?’. Mi è sempre sembrata un’idea simpatica, guascona, in grado di sdrammatizzare, ma tu non sai quanta seriosità e timori alberghino tra i giocatori professionisti…»
Fammi un esempio.
«Una volta ci siamo messi in testa di invitare nel Maifredi Team i veri protagonisti dei gol segnati al sabato, durante gli anticipi della serie A. Chiamiamo i diretti interessati e… non si è mai presentato nessuno! Avevano paura di fare figuracce. Temevano di non riuscire a riprodurre per finta quello che avevano realizzato dal vero solamente il giorno prima. Mah…»
Tu, invece, di fronte alla telecamera ti trovavi a tuo agio.
«Sì, basta che mi lasciassero fare me stesso. Solo che questo in televisione non è sempre possibile e, con un carattere aperto e sincero come il mio, a volte i poli non cozzavano a dovere, non so se mi sono spiegato…»
Chiarissimo. Con chi altro non hai mai “cozzato a dovere”? Intendo quando ancora vestivi maglietta e calzoncini…
«Con Carlo Mazzone, durante gli anni di Roma, ma non credo che sia questo gran mistero del calcio recente: lo sanno tutti che abbandonai la Capitale e mi trasferi al Toro proprio per quel motivo in particolare. Trapattoni al Bayern? No, con lui mai avuto nemmeno l’ombra di uno screzio. Come fai ad incavalarti col Trap? Lui è un allegrone nel suo lavoro, oltre che un gran signore.»
E la Bundesliga, nel cuore di quegli anni ’90, che torneo ti è sembrato?
«A livello organizzativo già avanti anni luce rispetto alla nostra lega di Serie A. Io con quel Bayern giocavo all’Olympiastadion che era già un monumento al football anche se poi hanno costruito l’Allianz Arena… Forse un difetto di quella Bundesliga era che non puntava tanto sui giovani (come ora) perché sfoggiava ancora mostri sacri come Lothar Matthäus e Jürgen Klinsmann, però poi direi che hanno recuperato eccome il terreno perduto!»
Qui da noi invece…
«L’Italia ci ho rinunciato a capirla. Mio figlio (Gianluca, classe ’94. Ndr) gioca poco nel Barletta, in Lega Pro, ma non è questo il punto. Il problema è che se in Germania guadagnano 100 col calcio dei grandi, poi 40 li reinvestono nel settore giovanile. Da noi se si fanno 100, poi qualcuno se ne frega 99 ed ogni anno siamo da punto a capo…»
Si è perso il gusto di fare investimenti “casalinghi”. Il Cesena con la cessione di un certo Rizzitelli nel 1988 portò a casa qualcosa come 9 miliardi di vecchie lire. Praticamente come se oggi un piccolo club vendesse Neymar Jr. o Rooney.
«Credere nel vivaio ripaga sempre, sempre e sempre. Peccato che nel Cesena attuale il bacino di scouting si sia ristretto alla sola Romagna, mentre prima copriva l’intera Penisola. Mi sembra che da questo punto di vista squadre come Bologna, Parma e Sassuolo stiano agendo meglio.»
Per chi tifi quest’anno visto che Cesena, Roma e Torino giocano tutte in massima serie?
«Il mio cuore l’ho lasciato a Roma e mi spiace che quel maledetto 7-1 subito per mano del Bayern Monaco stia ancora lasciando dei segni psicologici nella squadra di Garcia. Quando vedo giocare la Juventus, noto gente che si arrabbia per una rimessa laterale non data al 90esimo: è quella la mentalità giusta, non mollare mai, mostrare gli attributi all’avversario…»
Insomma, alla Roma attuale mancano 3-4 Rizzitelli dell’epoca…
«Questo non sta a me dirlo, però io – quando le cose non giravano e la partita si faceva fiacca – cominciavo a correre come un deficiente per tutto il campo. Mollavo la mia posizione e provavo a dare la scossa ai miei compagni. Ricordo una semifinale di Coppa Uefa all’Olimpico contro il Brøndby nel 1991: partivamo dalla 0-0 dell’andata, però giocavamo piatti come delle sogliole. Non mi piaceva l’andazzo così cominciai a scattare come un pazzo, feci pure un fallo da espulsione e fortunatamente l’arbitro mi graziò. Lo stadio, da quel momento, si svegliò e partirono i cori d’incitamento…»
Parliamo di pali, Rizzi?
«Purtroppo mi tocca. La Coppa Uefa, nel 1991, la perdemmo contro l’Inter perché presi un palo all’inizio della gara. Poi segnai a dieci minuti dalla fine, ma ormai era tardi. Il Trap aveva messo Aldo Serena a fare lo stopper e il trofeo volò definitivamente a Milano… (sospira)»
Quello fu il palo fatidico numero uno. Il secondo invece…
«Un altro enorme bruciore di stomaco che ogni tanto torna a farmi compagnia. Mosca, 12 ottobre 1991: alla nazionale italiana serviva esclusivamente una vittoria per andare all’Europeo svedese del ’92, i sovietici (all’epoca, nonostante il Muro fosse caduto due anni prima, esisteva ancora l’URSS. Quella per la Russia fu una delle ultime partite con la scritta CCCP sulle maglie. Ndr) giochicchiavano, facevano passare il tempo finché ad un certo punto riuscii a liberarmi in area, tiro a colpo e sicuro e – sdeng! – palo pieno! Ci rimasi di sasso. L’Italia non andò agli Europei ed io non salvai la panchina al povero Azeglio Vicini. Che invece se la meritava eccome…»
Fu quella la tua partita più eroica di sempre?
«Probabilmente sì. Anche perché quello stadio moscovita avrà contenuto 100mila spettatori ed erano quasi tutti militari dell’esercito! (ride) Non fu semplice giocare in un clima simile, ma ci mettemmo comunque l’anima.»
Un mese dopo, esonerato Vicini, Arrigo Sacchi ti convoca per giocare contro la Norvegia a Genova. Lì però segnasti e salvasti il risultato (1-1), ma dopo 9 presenze in maglia azzurra e 2 reti, il Profeta di Fusignano ti mise in nafatlina…
«Ricordo che in sala-stampa, dopo la partita, dissi chiaro e tondo ai giornalisti che quel gol l’avevo fatto per Vicini. Che dici, Sacchi se la sarà mica presa perché non lo dedicai a lui? (ride)»
Che il buonumore ti accompagni a lungo, Rizzi-gol. Avercene oggi di “sdrammatizzatori” efficaci come te.
Rubrica a cura di Simone Sacco (per comunicare: calciototale75@gmail.com)