2017

Dzeko, Schick, Di Francesco e Sarri: ecco come sono collegati

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Non buona la prima: Schick e Dzeko così non hanno funzionato. Perché Eusebio Di Francesco può apprendere da Maurizio Sarri

La Roma vince ma non convince: battuto il Cagliari all’ultimo respiro, con un gol discusso e dopo una prova tutt’altro che idonea sul piano della proposizione e dell’intensità. Scarsa la produzione offensiva, vittoria assai episodica: il raccolto è buono, tre punti che – in concomitanza con la clamorosa sconfitta interna rimediata dall’Inter per mano dell’Udinese – contribuiscono ad accorciare ulteriormente l’altissima classifica, i segnali invece appaiono meno incoraggianti. Anche per quanto concerne la tanto attesa coesistenza tra Edin Dzeko e Patrik Schick: la scelta di Eusebio Di Francesco – la analizzeremo a breve – ha sostanzialmente condotto i due a pestarsi i piedi. Non metaforicamente, ma effettivamente, con tanto di nervosismo non celato dal centravanti bosniaco.

Schick-Dzeko, la scelta di Eusebio Di Francesco

Sulla circostanza per cui la Roma sarebbe scesa in campo contro il Cagliari schierando sia Dzeko che Schick oramai sussistevano pochi dubbi: tutte le incertezze invece riguardavano l’assetto tattico che la squadra avrebbe assunto in campo. Il solito 4-3-3, che prevedeva inevitabilmente il decentramento di uno dei due attaccanti e dunque l’impiego di Schick sul versante destro, o il passaggio ad un 4-3-1-2 che avrebbe senz’altro aderito maggiormente alle caratteristiche del ceco. E che allo stesso tempo avrebbe costretto mister Di Francesco a cambiare, a derogare dal suo impianto base – che bene sta fruttando alla stagione della sua Roma – per agevolare l’inserimento di quello che è a tutti gli effetti l’acquisto più oneroso nella storia del club capitolino. Di Francesco ha optato per la soluzione A: lasciare tutto com’è, sacrificare Schick in corsia. Seppur consentendogli di interpretare il ruolo con le sue caratteristiche, dunque più propenso ad accentrarsi che a percorrere la fascia da esterno classico, quello per intenderci più affine al cross che alla presenza in area di rigore.

Schick-Dzeko, il risultato: atto 1 esito negativo

Tale genere di coesistenza però non ha reso i frutti sperati. Se è vero che occorre tempo per affinare un’intesa giocoforza a livello primordiale, è altrettanto indubitabile come qualche incompatibilità generale sia emersa con forza. L’azione in cui Schick e Dzeko si pestano concretamente i piedi la racconta lunga: il ceco si accentra per entrare nel vivo dell’azione, il bosniaco intanto cerca lo spazio per trovare la conclusione. Il risultato è lo scontro. Sull’arco della partita un preoccupante zero alla voce tiri nello specchio della porta: insomma, senza troppi giri di parole, non è andata. Anche perché i due non si sono cercati, vicini ma lontani, questione della posizione iniziale acuita dallo stesso genere di movimenti compiuti, simili per attitudini, quella predisposizione naturale a cercare sempre e comunque di presidiare l’area avversaria. Pur vero è però che, soprattutto in un modulo dinamico, fluido, si tratta di un genere di movimento che non possono fare tutti.

Schick-Dzeko, le soluzioni: Di Francesco vs Sarri

Per non sconfessare il grande colpo estivo messo a segno dalla dirigenza giallorossa occorre una rapida e funzionale soluzione: si può insistere sul 4-3-3, circostanza che Di Francesco pare intenzionato a percorrere, magari il tecnico stupirà tutti dimostrando che Patrik Schick possa rappresentare un valore aggiunto per la Roma anche in quella fetta di campo. Situazione che non si può escludere aprioristicamente. Oppure, una volta sbattuto sul muro della realtà, provare a disegnare una Roma più camaleontica sotto il profilo tattico: in altre parole, quando giocano sia Dzeko che Schick si passa ad un 4-3-1-2 (con Perotti trequartista per definizione o Nainggolan in una versione del ruolo più in linea con il calcio moderno) che possa agevolare l’inserimento dell’ex attaccante della Sampdoria. Il quale si ritroverebbe sostanzialmente ad agire nel suo ruolo, in una posizione centrale da seconda punta che ruota intorno al collega bosniaco. Uno switch ad esempio compiuto da Maurizio Sarri dopo un mese di Napoli: il tecnico partenopeo sbarcò all’ombra del Vesuvio forte del suo 4-3-1-2 base, Insigne il trequartista, Gabbiadini al fianco di Higuain. Di fatto sacrificati Mertens e Callejon, che non avevano collocazione in tale assetto tattico. Necessario il passaggio al 4-3-3 per valorizzare l’enorme qualità dei suoi attaccanti esterni, oggi anima di una squadra che fa parlare di sè per la qualità dell’espressione calcistica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Altrimenti…

Si mostrò intelligente l’allenatore del Napoli nel mettere da parte barriere e questioni di orgoglio, nel sapersi adattare alla squadra e soprattutto nel rendere tutto perfettamente funzionale nel giro di un breve lasso di tempo. Il suo Napoli si rivelò immediatamente macchina offensiva perfetta, in grado di contendere lo scudetto alla più attrezzata e strutturata Juventus. Il compito di Di Francesco sarebbe dunque non soltanto quello di cambiare modulo, ma anche di ottimizzarlo rapidamente, in modo tale da non perdere terreno in un campionato così competitivo e livellato verso l’alto. La soluzione meno felice è quella dell’impiego alternativo: o l’uno o l’altro. Il che poi vorrebbe dire attualmente Dzeko in campo, Schick a fargli tirare il fiato quando serve. Mansione un tantino riduttiva per un calciatore costato oltre quaranta milioni di euro. I conti non tornano, come si dice in questi casi. Il rischio però è quello, anche perché la Roma – di esterni funzionali al 4-3-3 e soprattutto alle caratteristiche di Dzeko, ossia rapidi in transizione e qualitativi nell’assist – ne ha da vendere. I vari Perotti, El Shaarawy e volendo Gerson, Under, Defrel e addirittura Florenzi ne sanno qualcosa. Soluzione da cubo di Rubik insomma in casa Roma: il miglior acquisto è una patata bollente?

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