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Riva, Boninsegna: «Cattivo in campo, timido fuori»

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L’addio di Roberto Boninsegna a Gigi Riva, le sue parole dopo la morte dell’amico compagno al Cagliari e in nazionale

Roberto Boninsegna è stato uno dei più cari amici di Gigi Riva, con cui ha condiviso molte partite con le maglie del Cagliari e dell’Italia. Dopo la morte di Rombo di Tuono in molti lo hanno contattato per chiedergli un ricordo della loro amicizia. Di seguito le sue parole a La Gazzetta dello Sport.

ADDIO – «E se ne va un amico, per un periodo delle nostre vite come un fratello: quando giocai nel Cagliari eravamo quasi in simbiosi. Dividevamo la camera in ritiro e questo per me significò anche imparare a fumare: se stavi vicino a lui non potevi non fumare. Io non avevo l’auto, mi scarrozzava lui per andare e tornare dagli allenamenti, poi arrivò mia moglie, io mi sposai e a lui rimasero le sue fidanzate… Anni indimenticabili, con la maglia rossoblù e ovviamente in Nazionale: non so dire in un altro modo».

AMICIZIA – «Di quelle che nascono in campo, diventano più forti fuori dal campo e poi si sentono, si sentono tanto quando giochi. Sa quante volte ci siamo difesi a vicenda? Prendevamo tutti e due un sacco di botte dai difensori avversari, quando uno stopper esagerava con Gigi e diventava troppo scorretto arrivavo io, e lui faceva lo stesso. È questo che intendo quando le dico che certe amicizie si vedono anche in campo: c’è un modo di legarsi più forte del difendersi a vicenda? Che bei tempi, quelli».

NOSTAGLIA – «Voglio dire che quando ricordo le nostre partite a carte, quando riguardo certe nostre foto fatte in Messico, noi che scherziamo e ridiamo con i sombreri in testa, mi viene ancora oggi nostalgia. E stavolta ancora di più».

FOTO DELL’ABBRACCIO IN ITALIA-GERMANIA – «Vuol dire quella dove io e Gigi, con le braccia tese e i pugni stretti, esultiamo come pazzi dopo il gol del 4-3 di Rivera alla Germania? Al Mondiale in Messico non eravamo nella stessa camera, ero arrivato dopo perché avevo sostituito in extremis Anastasi e dormivo con Pierino Prati, ma io e lui sapevamo cosa significava quella vittoria, battere i tedeschi. Avevamo parlato e sognato tanto prima di giocare la semifinale».

AMICO SILENZIOSO – «Parlava quando doveva, e se parlava lui non volava una mosca. Di sicuro io chiacchieravo più di lui, ma la sua non era riservatezza, era solo timidezza. Perchè Gigi fuori dal campo era l’opposto dell’attaccante che si vedeva in campo».

IN CAMPO – «Quando doveva segnare diventava “cattivo”: un finalizzatore. Anzi, uno straordinario finalizzatore, e per questo a volte anche un po’ egoista. Quante volte gli ho dovuto dire: “Ero solo, perché non me l’hai passata?”. E quante volte mi ha risposto sempre la stessa cosa: “Non ti ho visto…”».

MANCINO – «Eh, se non segnava sempre quasi sempre: con quel sinistro che aveva, la porta la prendeva sempre. E quanto tirava forte, chi l’ha visto giocare se lo ricorda di sicuro».

IL PIU’ FORTE – «Le racconto questa: io ho giocato anche con Bettega, dunque mi ero fatto un’idea molto precisa, e glielo dicevo sempre: “Gigi, tu sei il più forte, Bettega è il più intelligente e io sono il più completo dei tre”. Mi guardava e mi diceva: “E perché tu il più completo? Cosa hai in più di me?” E io: “Ma dai, Gigi: a te il piede destro serve solo per camminare…”. Ma ripeto: il più grande in assoluto, era lui senza dubbio. Porca vacca, che mazzata stasera».

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