2013
Quella strana sensazione di vuoto
Essere tifosi delle provinciali e vivere sempre in bilico tra gloria e fallimento
TROPPI RICORDI – Avete mai avvertito quella strana sensazione di cadere che si prova mentre si dorme o si è nel dormiveglia? Magari siete lì che vi state appisolando quando non si ca come e non si sa perché vi svegliate di soprassalto e per pochi secondi un brivido vi attraversa la spina dorsale, uno shock lento e fulmineo che però vi dà l’illusione di esser sopravvissuti, di avercela fatta. Sono tutte fandonie certo, ma c’è chi quella strana sensazione di vuoto ce l’ha da una vita e la prova tutte le volte che pensa alla propria squadra del cuore. Cosa succederebbe se un giorno la compagine per cui fate il tifo fallisse inesorabilmente? Se doveste passare dallo splendore dei campi di Serie A, o anche da una sufficiente Serie B, all’Eccellenza o alla Promozione, con maglie e colori differenti e su campetti sgangherati da doposcuola? Beh, se tifate le grandi, quelle di cui parlano i giornali, molto probabilmente ridereste solamente all’idea di concludere una stagione senza l’approdo in Europa, ma se invece avete amato la Reggiana, avete indossato la maglietta di Fabio Bilica all’Ancona, avete seguito le gesta mirabolanti del Pisa e del Perugia, ecco, in questo caso sapete di cosa stiamo parlando.
MORI – Prendete il Venezia ad esempio, forse l’unica città magnifica in tutto il mondo a non avere una squadra nelle prime due serie del campionato professionistico di calcio. Un tempo vivacchiava tra in A con Pippo Maniero, Bettarini e indimenticabili meteore come Bjorklund, Magallanes o l’inopportuno Tuta, reo di aver fatto troppo bene il suo lavoro di attaccante. Poi, è bastato poco perché tutto andasse in malora, al Penzo non giocano più campioni internazionali ma si riparte dei dilettanti e i tifosi arancioneroverdi sugli spalti a cantare a squarciagola anche se davanti non avevano più il Milan, l’Inter o la Juventus, bensì il Kras o l’Opitergina. Le discese ardite e le risalite, un po’ come quel Pisa che tra gli Ottanta e i Novanta era un’isola felice in Toscana e con Anconetani presidente era un modello quasi di gestione calcistica: Simeone, Chamot, Dunga e Vieri sono tutti passati sotto la Torre. Ma anche qui se un tempo si portavano diecimila tifosi a San Siro dove il quinto moro Blisset decideva per il Pisa in Serie B, in seguito ben due fallimenti della società hanno dirottato i pullman dei tifosi dapprima a Santa Croce sull’Arno e Forcoli e poi a Pontedera e Prato, centri conosciuti non tanto per il calcio bensì per il secondo settore.
BELA BULAGNA – Vedete, essere tifosi comporta degli obblighi. Delle regole non scritte che un appassionato si porta sempre dietro. E la prima regola, per chi tifa le cosiddette provinciali, è la disillusione. Costante e crescente senso di distacco, coscienza di non poter mai sognare, ma di dover sempre soffrire e sperare che a livello economico tutto sia a posto. Chiedete un po’ ai fan del Bologna quante volte un faccendiere di qualsivoglia nazione si è presentato alle porte del Dall’Ara con l’idea di prendere la società e invece poi niente, nessun emiro o americano ma solo ed esclusivamente emiliani doc e la continua paura che a fine stagione, dopo aver scampato la retrocessione, arrivasse un verdetto economico. E quindi dalle trasferte di Coppa Uefa a quelle a San Lazzaro di Savena, sempre la stessa storia di una passione che non tramonta mai. Non tramonta mai, nonostante la paura che tutto possa finire da un momento all’altro, perché quando hai i Mian, i Covarelli, i Brizzi invece di Berlusconi o Agnelli tutto può accadere.
FUTRE, CERAMICA PREGIATA – Un tempo nella Reggiana Futre faceva delle magie incredibili, una volta con una finta mise a sedere mezza Cremonese e segnò per poi infortunarsi, adesso invece a Reggio Emilia gioca il Sassuolo perché è stato deciso così. Una vita in bilico tra la polvere e l’altare, con il cinque maggio sempre dietro l’angolo: questo è quello che vivono i tifosi di queste compagini. Poi, ovviamente il calcio è anche altro, non solo il magone di dover sempre lottare e urlare in curva e sperare nelle banche perché purtroppo non si può andare a fare il tifo sotto la Covisoc. Fallire è morire, poche volte la rinascita è degna dell’araba fenice e solo in pochi casi come per la Fiorentina arriva uno splendido lieto fine. Ci son o anche quelle volte in cui vedi fallire tutte le tue dirette concorrenti intorno, esulti smodatamente e poi succede pure a te a campionato in corso: è la beffa dell’Ascoli, che si è visto sparire attorno l’Ancona, la Fermana e la Sambenedettese e che è destinato a una fine ingloriosa. Per non parlare del Piacenza, qualche anno fa al Garilli le rovesciate di Luiso e le sgroppate di Piovani erano all’ordine del giorno e adesso invece nella cartina del grande calcio non c’è più traccia dei biancorossi. E il Vicenza? Altro che Lanerossi, adesso è in Lega Pro e rischia il derby con i cugini del Real (Vicenza, logicamente).
E INVECE – Chi tifa per le piccole dice no al calcio moderno, quello delle smargiassate televisive, anche se poi quando il Livorno o l’Empoli vanno in Europa o il Pescara va in A ci tiene a fare bella figura e a sentirsi nominare sulle grandi reti. La verità è che questa benedetta sensazione di vuoto, il tifoso ce l’ha dentro geneticamente. Lo vedete che si approccia al pallone anche con insofferenza, consapevole che un giorno magari per una trasferta basterà la bicicletta. Si riconosce questo tipo di appassionato in maniera molto semplice, è l’unico che a calcetto ha la maglia della Cremonese e da vecchio lo troverete al circolo con un chinotto in mano come il tennico di Bar Sport, quello che ne ha viste di cotte e di crude. E’ mai possibile vivere così, su questo filo sottilissimo tra il sentimento e il baratro, tra la passione e il disincanto? Stiamo parlando di calcio, cristo santo, non dovrebbero sorgere tutte queste paturnie. E invece. E invece eccoci qua, tifosi di squadre che l’Europa l’hanno vista solo sui sussidiari. Autolesionisti del terzo millennio. Ciononostante ogni domenica ci mettiamo la maglietta fortunata, il cappellino e la sciarpa della nostra squadra e partiamo, chi s’è visto s’è visto. Non supereremo mai questa fase.