2012

Premier League, tra le “magagne” dei ricchi oligarchi

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Beh, non possiamo certo dire che la notizia ci sorprenda. Non tanto per le ragioni in sè, ma semplicemente perché ci ricorda tanto quello che sta accadendo da un paio d’anni in casa nostra. E’ un business game amici, con la semplice differenza che in ballo ci sono milioni fitti e interessi commerciali mastodontici, in un circus che non sembra conoscere freni. Se siete un emiro piuttosto che un oligarca potrebbero fischiarvi le orecchie ma badate bene, il succo del discorso che vado ad elencare in queste poche righe è solamente una riflessione con alla base una logica commerciale elementare, si, ma base di ogni mero concetto aziendale. Primo step.

Premier League, senza tanti giri di parole il campionato più affascinante del continente e che catalizza il mercato legato allo sportsbusiness. Volete un esempio? Lo scorso Giugno sono stati assegnati i diritti televisivi relativi al triennio che prenderà il via dalla prossima stagione: ad aggiudicarseli, ancora una volta, il gruppo guidato dal magnate delle telecomunicazioni Rupert Murdoch che per l’intero scherzo ha scucito niente meno che 3 miliardi di sterline. Forse ho dimenticato di dirvi che l’accordo raggiunto, oltre a permettere alle 20 squadre iscritte al campionato di mettere sotto la voce “attività di bilancio” qualcosa come sessanta milioni l’anno, riguarda esclusivamente il territorio inglese. Il che significa che, a parte, verranno ridiscussi i diritti per quanto riguarda la trasmissione oltre confine, con la possibilità concreta di mettere insieme un altro gruzzolo non indifferente. Stando alle cifre messe in nero su bianco, salta all’occhio come il valore del contratto registri un incremento di valore del 70% rispetto al precedente, segno di come per quanto costoso possa essere, il gioco vale sicuramente la candela. Non occorre scomodare la buonanima di John Keynes per capire che un investimento tale è sostenuto dal profitto garantito dallo scenario della Premiership. Secondo Step.

Buongiorno, sono uno degli suddetti sceicchi (o degli oligarchi) a cui fischiavano le orecchie e avrei un paio di _billion_ in più da buttare sul piatto, di sport non ne ho mai fatto però investendo corposamente poi voglio anche vincere, nel breve periodo se possibile. Mi compro una squadra, non importa se dal passato importante (vedi Chelsea) oppure il pulcino nero di una delle città più vincenti del panorama calcistico (vedi Manchester, i Citizens nello specifico), compro quanto di meglio il mercato offre e chiaramente lo pago a peso d’oro, dato che l’altro attore della trattativa conosce perfettamente il mio potere d’acquisto. Alcuni esempi? Torres che lascia Liverpool da traditore e si trasferisce a Londra per quasi 60 milioni di Euro (più dieci l’anno di ingaggio). Yaya Tourè invece è un ottimo centrocampista africanoche qualche anno fa ha sposato il progetto faraonico dell’allora neo-presidente del Manchester City e ha lasciato un Barcellona stellare per il grigio e umido clima del nord-ovest inglese. Per nove milioni di motivi. E l’elenco si allunga con nomi del calibro di Dzeko, Balotelli, AgueroMata, Hazard, gente che non si sposta per semplice entusiasmo. Dice, embè? Che c’è di male? Berlusconi ha sorretto il Milan di tasca propria per anni, Moratti ha speso in quindici anni quanto la Nasa per far passeggiare Armstrong ed un paio di amici sulla Luna, prima di vincere qualcosa. Bene, uno investe l’impossibile, ammazzando il mercato particolare trascurabile a quanto pare, poi vince e rientra con gli interessi. Non è esattamente così. Terzo step.

Come ben sapete , quest’anno il Milan ha dovuto privarsi delle sue stelle più luminose per far fronte ad una contingenza economica inevitabile. Il City non è arrivato a questo punto anzi, però deve far fronte seriamente,con un passivo che è naturalmente ridotto grazie alla vittoria in Premier dell’anno passato, ma si assesta comunque nell’ordine del centinaio di milioni di Sterline. Esistono a questo punto diverse strade: una è quella del Milan, che volente o nolente ricomincia da zero con un progetto a breve-lungo termine, e grazie al cielo che un campioncino, El Shaarawy, indossava già la maglia rossonera. Un’altra strada è la via battuta dallo United, che di rosso non ha solo la maglietta ma anche il segno su diversi libri contabili, abile a sfruttare la forza di un marchio dal valore inestimabile nel mondo sportivo attraverso operazioni commerciali in mercati emergenti, vedi post QUI. Quarto step.

Poi all’improvviso, si fanno i conti con l’oste, e salta fuori che nonostante l’appeal sul mercato, le venti squadre del campionato mettono insieme circa 500 milioni di Sterline di passivo, secondo lo studio condotto sui bilanci della stagione 2010-2011 da David Conn in un articolo apparso sul Guardian. Ora, è evidente che quella capitata a Richard Scudamore, presidente della Football Association è una discreta patata bollente. La ventilata ipotesi di un salary cap, un tetto salariale da imporre a tutte le società per cercare di limitare ma soprattutto monitorare i costi, non ha suscitato entusiasmo tra i club, fermo restando che perché venga imposta occorrerebbe l’agreement di almeno 14 squadre. Tra i più fermi sulle proprie posizioni Fulham e, sorpresa delle sorprese, il Manchester City.

La sensazione è che questa opzione, prima o poi, sarà inevitabile a questi ritmi ma prima c’è un ultimo step: convincere un ricco orientale a spendere con criterio… in bocca al lupo Mr Scudmore.

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