2016

Poco giovani e senza esperienza: il Leicester è davvero un miracolo

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Il Leicester di Claudio Ranieri è fondamentalmente una storia assurda

Soltanto tre anni fa in Football League Championship – la nota seconda divisione calcistica inglese – ed ora al comando della Premier League con un divario di cinque punti sulla seconda forza della classifica, giocoforza con concrete prospettive di titolo quando mancano appena nove turni al gong finale: è il Leicester di Claudio Ranieri e questa storia con ogni probabilità l’avrete già ascoltata.

IL PREGRESSO DEI CALCIATORI – Quello che forse avete letto meno in giro inerisce al percorso che gli attuali protagonisti della Premier League hanno effettuato prima di questa gloriosa stagione: per ben sei undicesimi dei titolari di Claudio Ranieri si tratta soltanto del secondo campionato in prima divisione. Sì, avete letto bene: i non giovanissimi Kasper Schmeichel (classe ’87), Wes Morgan (’84), Danny Drinkwater (’90), Riyad Mahrez (’91) e Jamie Vardy (’87) hanno disputato appena due Premier League e tutte con la maglia del Leicester (stagione 2014-15 e 2015-16), analogo discorso per N’Golo Kanté (’91) che però ha militato in Francia con la maglia del Caen nella prima massima serie della sua carriera. Se per i venticinquenni Mahrez e Kanté siamo ancora entro i limiti, per gli altri è una storia che va ben oltre quella della famigerata ultima chiamata: ok esordire tardi e tutti insieme, ma vincere la Premier League – il campionato più ricco e competitivo del pianeta – è oggettivamente un’altra faccenda.

ESPERIENZA – Il ruolo dei professori spetta agli altri cinque undicesimi della formazione titolare: Danny Simpson (’87), prima di approdare al Leicester nell’estate del 2014, aveva disputato tre Premier League con la maglia del Newcastle. L’esterno tedesco Christian Fuchs (’86) si era segnalato in Bundesliga con le maglie di Bochum, Mainz e Schalke, così come Shinji Okazazi (’86) allo Stoccarda prima ed al Mainz poi. Robert Huth (’84) ha incentrato la sua carriera sulle solide esperienze al Chelsea in prima battuta, poi Middlesbrough e Stoke City, mentre più tormentata è la vicenda di Marc Albrighton (’89), il cui scarso utilizzo in forza all’Aston Villa lo aveva addirittura retrocesso in seconda divisione con la maglia del Wigan, prima della recente chiamata del Leicester. Huth a parte, ad ogni modo, nessuno che abbia militato in una squadra d’elite: lo stesso centrale tedesco, ai tempi del Chelsea, non recitava di certo il ruolo del protagonista.

MIRACOLO? – Ebbene sì: alla luce di tutto quanto asserito c’è la possibilità di rispondere affermativamente senza il rischio di essere smentiti. Siamo fondamentalmente di fronte ad un gruppo di calciatori non di primo pelo e per di più privi di una strutturata esperienza alle spalle. Il tutto è più della somma delle sue parti, affermava una corrente psicologica tedesca: teoria che, applicata al calcio, può essere lo sponsor più credibile ed indicativo di questo Leicester. Mister Ranieri ha sommato gli ingredienti ricorrendo ad operazioni ben lontane dalla mera addizione: perché questa squadra non è una somma di valori individuali – che del resto non potrebbe affermarsi in un campionato del livello che va riconosciuto alla Premier League – ma un gruppo che ha fame e funziona. L’ambizione è diventata quella massima, alla base la volontà di dimostrare al mondo che gli spartiti comuni possono essere invertiti. Il campo ne è la risposta: recupero palla e dunque corsa, rapidissime verticalizzazioni e dunque volontà di aggredire l’avversario (miglior attacco d’Inghilterra in compagnia del Manchester City), tenacia nel conservare il risultato acquisito pur non imponendo il proprio calcio. Se non subentreranno paura e vertigini il piatto è inevitabilmente servito.

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