2016
The lunatic is on the field: il calcio e i Pink Floyd
Quando i Pink Floyd giocavano a calcio: la genesi del First Eleven
PART I – A Highbury, molti anni fa, due ragazzi seguivano le partite dell’Arsenal senza conoscersi l’un l’altro. Ancora giovani, ma amanti del pallone, non sapevano che prima o poi si sarebbero incontrati sempre più spesso fino a scontrarsi e a non rivolgersi più la parola, salvo qualche sporadica apparizione assieme, uno ai piedi di un muro e uno in cima. Il più giovane veniva da Cambridge, città universitaria nella quale avrebbe studiato pure l’altro fan dei Gunners, nato nei pressi di Londra e vissuto nei sobborghi della città britannica. Erano gli anni in cui l’Arsenal vinceva poco o niente, arrivava a metà classifica quando andava bene e ogni tanto poteva provocare qualche sussulto, ma mai nulla di eccezionale. Paradossalmente i due giovani tifosi cercavano spesso l’eccezionalità in quel che facevano, provavano a rendere straordinario il loro lavoro. Il più vecchio aveva messo su un gruppo musicale col suo migliore amico Roger, anche se a lui non piaceva farsi chiamare così, preferiva Syd – anche perché poteva nascere confusione, pure l’altro si chiamava Roger. E allora con Syd aveva iniziato questa collaborazione, aveva chiamato altri due componenti, a volte tre, e con Nick e Richard aveva messo su una band. Anche Nick tifava Arsenal, ma non con il trasporto di Roger, mentre Richard seguiva il calcio senza esserne troppo attratto. Un giorno però Syd aveva cominciato a comportarsi in maniera bizzarra, non che fosse un damerino, ma comunque i segni di squilibrio erano troppi. Roger si era dunque da fare e con gli altri del gruppo aveva trovato un altro musicista, un po’ meno fuori dalle righe ma comunque straordinariamente abile. Non ne era certo ma lo aveva visto da qualche altra parte. Era un polistrumentista favoloso, entrò nella band. Roger non sapeva che forse i due si erano già incrociati ad Highbury a tifare Arsenal, quando per la gente della East Stand i nomi di Roger Waters e David Gilmour non suonavano affatto familiari.
PART II – I Pink Floyd sono legati a doppio filo al calcio, forse sono uno dei pochi gruppi diventati famosi tra i Settanta e gli Ottanta ad avere una profonda e viscerale predisposizione per il pallone. Il loro rapporto con la sfera però è diventato epico grazie a Storm Thorgerson, fotografo e designer prima di tutto ma in particolar modo mente e braccio di molte copertine – e non solo – dei Pink Floyd. Nel 1973 esce The Dark Side of the Moon, una rivoluzione nel mondo della musica, e la copertina ancora oggi è un vero e proprio cult, un capolavoro. Sempre nel 1973 la EMI ha intenzione di sfruttare il successo di questo album e ripubblicare i primi due lavori dei Pink Floyd – The Piper at the Gates of Dawn e A Saucerful of Secrets, gli unici con Syd Barrett – con il nome di A Nice Pair. Storm Thorgerson ha un’idea: vuole una foto con un tema sportivo, ma di fronte alle eccessive richieste del pugile Floyd Patterson decide di lasciar perdere. Un giorno però l’illuminazione arriva, il momento perfetto è quando i Pink Floyd decidono di fare una partita di calcio. Storm Thorgerson non se la lascia scappare e quindi, sul finire del 1973, sulla copertina di A Nice Pair compaiono undici personaggi e un terreno verde. Sei sono in piedi, quello nel mezzo è vestito di giallo e ha un’aria fiera, sa di essere uno dei veri protagonisti della foto e prende sul serio il suo ruolo – è Roger Waters. In piedi, a braccia conserte c’è pure Richard Wright, che indossa come i compagni una maglia che richiama quella dell’Arsenal, solo che al posto del rosso c’è il blu. Altri cinque uomini sono accosciati, il primo a sinistra sembra Frank Zappa ma è Nick Mason, capelli lunghi e baffi da sparviero, in testa la stessa fascia di Live at Pompeii. Il primo a destra, volto efebico e capelli raccolti dietro, guarda con aria di sfida l’obiettivo e sembra uno di quei fenomeni che si divertono a sprecare il loro talento – è David Gilmour. Waters, Wright, Adamson, Mason, O’Rourke, Richardson, Gilmour, Watts, Howard, Thorgerson, Max: questa la formazione completa. È il First Eleven, conosciuto anche come Pink Floyd Football Club, la miglior squadra di calcio mai esistita nel mondo della musica.
PART III – La foto viene scattata al nord di Londra nel 1973 poco prima di un’amichevole con un gruppo di marxisti londinesi. Il First Eleven musicalmente sarà pure fenomenale ma in campo si rivela una squadretta e perde quattro a zero. Però l’immagine catturata da Thorgerson è indicativa della passione per il calcio dei Pink Floyd e il First Eleven continuerà a esibirsi, mai in versione ufficiale. Ogni volta che qualcuno tira fuori un pallone, che sia una pausa dallo studio di registrazione o un tour in giro per il mondo, il First Eleven si crea spontaneamente e alcuni tra i più grandi musicisti mai esistiti lasciano perdere la loro arte per dedicarsi a un’altra, forse meno prestigiosa ma ugualmente avvincente. Al di là del First Eleven sono molte le volte in cui i componenti sono stati ritratti in immagini di carattere ludico, sempre col pallone tra i piedi. Per non pensare a quanto siano stati influenzati dal calcio e a loro volta abbiano dato un gran contributo al pallone: basti pensare al coro dei tifosi del Liverpool in Fairless nell’album Meddle o alle loro canzoni utilizzate per cori da stadio o trasmissioni tv, vedi One of these days in Italia. Vedere i Pink Floyd così uniti su un campo da calcio è veramente un tuffo al cuore, soprattutto vederli all’opera deve esser stato qualcosa di incredibile. Si dice che Roger Waters fosse un buon portiere ma non una saracinesca, con i piedi non ci sapeva fare più di tanto e conoscendo il soggetto non deve essere stata una cosa facile da superare. Richard Wright invece sul campo da gioco spaziava sulla destra in difesa e mostrava una ruvidezza inconcepibile se lo si immagina a far danzare le dita sulle tastiere. Nick Mason dettava i tempi alla batteria e anche in campo cercava di fare lo stesso, posizionandosi nel ruolo di mezzala; troppo spesso però si trovava a far legna e basta. David Gilmour aveva una certa dimestichezza col pallone ma da ala destra rendeva cento miliardi di volte meno che come chitarrista, a vederlo un po’ impacciato cavalcando verso l’area nessuno avrebbe mai detto che lui era quello di Comfortably Numb. Erano una bella squadra, erano i musicisti migliori del mondo. Forse però in campo mancava qualcosa; più che qualcosa, qualcuno. Un giocatore in grado di splendere, di brillare di luce propria. Un diamante pazzo, chissà.