2014

Pietro Paolo, il sommelier del gol

Pubblicato

su

Pietro Paolo Virdis: storia di un attaccante anni ’80, dal quale molte punte moderne dovrebbero atttingere

VENI VIDI VIRDIS – Magari la gente non lo sa ma si può essere attaccanti anche senza capigliature stravaganti o orecchini di Swarowski, un tempo addirittura c’era chi esultava alzando i pugni al cielo e gridava tutta la gioia assieme ai compagni anziché portandosi il pollice alla bocca o togliendosi inspiegabilmente la maglietta. Quando ancora non andava di moda la barba da hipster – che poi ce lo vedete un attaccante di Serie A che ascolta i Bon Iver o legge Foster Wallace? – esisteva un uomo in grado di andare spesso in doppia cifra in campionato e di segnare in qualsiasi modo, mettendo in mostra solamente dei bei baffi da sparviero e una capigliatura brizzolata da punta vissuta: quell’uomo era Pietro Paolo Virdis, ex attaccante e oggi sommelier e ristoratore a Milano, quella Milano dove da giocatore ha pure alzato un Coppa dei Campioni, oltre ad aver vissuto forse gli anni migliori di una carriera troppo amarcord per poterne parlare senza i lucciconi agli occhi.

BALENTIA – Virdis nasce il 26 giugno 1957 a Sassari come Antonio Pietro Paolo Virdis, praticamente mezzo calendario nel nome. Cresce nella sua Sardegna a Sindia ma calcisticamente sono prima la Juvenes e poi la Nuorese a dargli le prime chance, e il nostro Pietro (ma anche Antonio o Paolo, come volete) le sfrutta nel migliore dei modi. Un po’ come nel film Jack con protagonista Robin Williams, Virdis sembra più grande e più maturo degli altri non solo come carattere ma anche fisicamente, tant’è che in Serie D a Nuoro a sedici anni arriva la bellezza di undici gol e inizia una carriera da predestinato. Nel 1974 è già in Serie A e ancora deve votare per la Camera, ha diciassette anni e si confronta contro difensori del calibro di Scirea, Turone e Burgnich, mica roba da nulla e infatti l’esordio nei professionisti lo vede terminare il 1974-75 senza aver mai messo dentro un gol. Sarà l’unica stagione senza reti dell’attaccante nuorese, da lì in poi inizierà una carriera fatta solamente di portieri che raccolgono la palla dentro al sacco. La stagione seguente ne segna sei ma il suo Cagliari scende in Serie B e lui a diciotto anni è già sulla bocca di tutti: sulle figurine Panini ha la faccia di chi ormai nella vita ha già visto tutto e si mormora addirittura di un rifiuto verso la Juventus.

IN BIANCO E NERO – A Cagliari sognano, pochi anni prima un altro calciatore aveva detto no al trasferimento in una grande, si chiamava Gigi Riva e con Manlio Scopigno in panchina e un dream team in campo aveva vinto l’unico titolo nella storia del Casteddu, uno scudetto. Virdis ha tutti gli occhi addosso e non solo sul calciomercato, in B spadroneggia e fa diciotto gol che però non bastano ai rossoblù per tornare in A ma che servono alla Juve per capire qual è il giovane su cui puntare. Nell’estate del 1977 Virdis cede alle lusinghe bianconere ma nei successivi tre anni gioca e segna con il contagocce, nonostante vinca i suoi primi titoli: nel 1978 arriva lo Scudetto e l’anno successivo la Coppa Italia, Bettega e Boninsegna sono titolari quasi inamovibili e non è proprio il caso di dar torto a Trapattoni. Arriva dunque la scelta di cuore del ritorno a Cagliari in prestito ma è lontano da quel Virdis portentoso di inizio carriera, poi nel 1982 torna a Torino e realizza la miglior stagione in A. Segna nove gol e vince lo Scudetto ma di nazionale non se ne parla. Gli anni dopo sono sempre in bianconero, ma all’Udinese. In Friuli si infortuna spesso e nella seconda annata segna con regolarità e nel 1984 – anno romantico per vari motivi, soprattutto per le possibili citazioni letterarie – arriva la vera svolta della sua carriera.

MILANO MIA, PORTAMI VIA – Virdis ha ventisette anni e ha voglia di riscattarsi. I suoi baffi e i capelli folti da vero sardo lo fanno sembrare più uno di famiglia che una punta, uno zio che viene a trovarti per le feste e che sgancia magari anche la diecimila per comprarsi il gelato o, meglio, le figurine. Di regali al Milan Virdis ne farà parecchi, rimarrà rossonero cinque stagioni mettendo a segno la bellezza di cinquantatré gol in A e svariate realizzazioni sparse per l’Europa e la Coppa Italia. Al Milan, soprattutto in quello di Sacchi, recita tutt’altro che un ruolo da comprimario, ne è la riprova il gol del pareggio con la Stella Rossa nella prima Champions di Berlusconi – per intendersi, il ritorno di quella gara ha cambiato irrimediabilmente il corso della storia del Milan. I gol di Virdis sono sempre più decisivi: il baffo di Sindia partecipa alla rinascita milanista, è il trait d’union tra il Diavolo operaio e rognoso di Farina e Liedholm e quello barocco e vincente del Cavaliere e del mister di Fusignano. Può esserci Wilkins come Rijkaard, Verza come Gullit, ma Virdis è ancora lì in mezzo all’area a fare a sportellate con tutti i difensori e a segnare valanghe di gol, sempre portando le braccia al cielo e con i capelli imbiancati prima del solito. E’ un bomber esperto Pietro Paolo, è un killer. Volete un esempio? E’ il 1 maggio 1988 e Napoli e Milan giocano la sfida Scudetto al San Paolo: sotto il sole cocente il buon vecchio Virdis (trentunenne ma con un volto perfetto per un film di Sorrentino) sfrutta nell’area piccola una punizione deviata e un cioccolatino di Gullit e regala il 3-2 ai rossoneri. Il Milan vince il titolo e Virdis è protagonista indiscusso, anche senza esser mai stato vero uomo da copertina – inspiegabile tra l’altro perché non abbia mai giocato in nazionale.

Virdis in enoteca

IL GUSTO PER IL GOL – E’ in quegli anni che Virdis vive la sua gloria più grande, va tre volte in doppia cifra al Milan e non patisce la concorrenza di uno che di nome fa Marco Van Basten, anzi lo sostituisce egregiamente nell’unico scudetto targato Sacchi. In più vince pure una classifica dei marcatori, ma questo nell’annata con Liedholm e Capello. Poi, dopo l’epopea a Milano, va a Lecce a svernare e si ritira a 34 anni, anche in questo caso parecchio prematuro. Un passo avanti a tutti il giovane vecchio Virdis, una punta in grado di bruciare in un istante chiunque e di freddare qualsiasi portiere, specialmente su rigore ovvero la specialità della casa: solo Grudina del Pisa riuscì a parargliene uno, ma forse per spirito di fratellanza sardo. Di punte come Virdis, inutile dirlo, non ne esistono più e forse, coniugando l’essere all’apparire, ne sono esistite veramente poche. Avete tutti amici cinquantenni che negli Amatori, con i capelli bianchi, segnano valanghe di gol: ecco Virdis non solo questo lo faceva in Serie A, ma era in gradi di farlo a trent’anni ancora da compiere. Un fenomeno, anche se siamo portati a definire fenomeno solamente chi sa fare un doppio passo in velocità. Dopo aver tentato invano la carriera di allenatore, Virdis ha fatto una scelta controcorrente e ha aperto un’enogastronomia a Milano, vicino Piazza Sempione. A Il Gusto Di Virdis si mangiano specialità sarde e non e si beve ottimo vino, ma soprattutto si può incontrare una leggenda. Uno che il gusto per il gol l’ha sempre avuto buono.

Exit mobile version