Serie A

Pecci: «Pesaola, Socrates, Maradona: che bello il calcio di una volta. Oggi troppi giocatori-azienda. Fate giocare i giovani. E c’è solo un ALLENATORE che ha fatto un MIRACOLO»

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Eraldo Pecci, ex giocatore del Torino, ha parlato al Corriere della Sera del calcio di oggi facendo un’analisi con il passato

Eraldo Pecci, oggi opinionista Rai, è stato un centrocampista di spessore tecnico nel passato col Bologna, il Torino, la Fiorentina e il Napoli. In un’intervista al Corriere della Sera fa il punto sul calcio di oggi e del suo tempo.

ALLENATORI«Vince chi ha giocatori migliori. L’allenatore bravo? Quello che fa meno danni. Solo uno ha fatto un miracolo calcistico: Claudio Ranieri. A Leicester ha scritto la storia».

COM’É CAMBIATO IL CALCIO«Troppi tuffatori, troppi giocatori-azienda, troppi soldi, troppi debiti e poco coraggio nel lanciare i giovani. In Spagna e in Inghilterra non hanno timore a schierare in Champions gente di 16-17 anni. Da noi regna ancora la stupidaggine: i giovani devono farsi le ossa. Ma per piacere: se sei forte, sei forte. Punto».

PESAOLA«Prima di una sfida con l’Inter mi fa: lei conosce Corso? Sì, rispondo io. Ecco: lo segua ovunque e non gli faccia toccare palla. Non la tocca lui, non la tocca lei, ottimo per noi. Tutto lo spogliatoio a ridere. Mi voleva più ligio agli schemi: “Mister sono estroso…”. Sì è vero, disse nel suo italo-argentino, “lei è un estronso”. Tutti a ridere. Oggi sai che polemiche».

LA FIORENTINA NEL 1981«Al primo anno scudetto perso per un gol annullato al mio amico Graziani contro il Cagliari. Vince la Juve del Trap, ancora se ne parla sul Lungarno. Antognoni un leader, poi Bertoni, Passarella e il Dottore, Socrates: un campione che arrivò sul viale del tramonto, ma di intelligenza superiore».

MARADONA«Un gigante. Generoso, geniale, autentico. Abitavamo nello stesso palazzo, via Scipione Capece. La mattina lo incontravo : “ehi Diego, se vuoi ti insegno a palleggiare di destro”. Rideva e mi mandava a quel Paese. Toccai a lui la palla della mitologica punizione alla Juve: gli dico: “Diego, guarda che non passa”. Lui: “Tranquillo hermano, pasa, pasa”. Ancora oggi a Napoli mi fermano: Pecci, hai toccato la palla a Diego. Lui era il Leonardo da Vinci del calcio. Vedeva cose che noi umani… L’hanno giudicato in troppi senza conoscerlo. Non c’è un compagno di squadra o un avversario che ne parli male. Il suo problema sono stati i parassiti che gli stavano attorno».

DIEGO IL PIU’ GRANDE DI TUTTI«Ha le chiavi dell’attico. Un uomo straordinario. Vado via da Napoli, perché dopo un anno per ragioni personali, dovevo tornare a Bologna. Saluto tutti nello spogliatoio di Avellino, ultima di campionato: grazie ragazzi, mi avete dato tanto. E Diego: “grazie a te Eraldo, mi hai insegnato molte cose”. Una medaglia che porto sul petto».

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