Paul Okon: la mente ci arriva, il ginocchio no - Calcio News 24
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2014

Paul Okon: la mente ci arriva, il ginocchio no

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Da libero elegante a mediano d’ordine, la storia agrodolce di un leader silenzioso

BIDONE PAUL MICHAEL OKON – Ognuno ha la sua croce. E figuriamoci se il mondo del calcio, sempre pronto a farti pesare ogni minimo passo falso, si poteva svincolare da questa regola: chiunque abbia preso a calci un pallone, compresi i vari Messi-Maradona-Cruyff-Pelè-Di Stefano, ha dovuto fare i conti lungo la propria carriera con il peso delle malelingue. C’è sempre quel dettaglio, quella sfumatura, per cui la gente si trova a gridarti contro qualcosa: sei troppo basso, sei sovrappeso, hai i piedi a banana, ti droghi, bestemmi e picchi i bambini. Non se ne scappa. E soprattutto non scappava Paul Michael Okon. Non scappava l’australiano, non era da lui, e infatti tutti lo additavano e sostenevano che fosse lento (ecco la sua croce, appunto). Lui stesso, con calma, a chi gli chiedeva pareri a riguardo rispondeva di essere “proteso alla ricerca del gesto tecnico” e, come tutti sappiamo, una simile missione richiede tempo e non prevede certo che le persone intorno ti stiano col fiato sul collo. Come spesso (sempre) accade, anche il peggior difetto può nascondere un rovescio della medaglia che ti sorprende e che ti fa rivalutare tutto: non era lento lui, erano gli altri che correvano troppo e senza motivo, troppo distratti dal richiamo estetico a cui ogni calciatore che si rispetti dovrebbe rispondere.

SULLE ORME DI BOBO – Paul Michael Okon, nato da madre italiana in una terra in cui il calcio – soprattutto all’epoca – figurava al centosedicesimo posto tra le attività ritenute più interessanti, come l’Australia, ha dovuto seguire il richiamo di uno a cui davvero non si può dire di no per rincorrere la propria aspirazione di giovane calciatore: Bobone Vieri. E che c’entra Vieri? C’entra perché i due erano amiconi, sono cresciuti insieme come si suol dire, tra Sidney e Prato. Una strana traiettoria che sarebbe stata nel destino di Okon, dopo un primo assaggio di Italia nel 1988 prima di far ritorno in Australia lasciando l’amico Christian nello stivale con la promessa di rivedersi, prima o poi. Un altro insospettabile elemento, un altro pezzo dal novanta del calcio italiano, si affacciò più avanti sul destino del giovane calciatore australiano, a quel punto già trasferitosi in Europa: Dino Zoff. L’ex portierone azzurro scoprì, insieme a Nello Governato, un giovane Okon impegnato nel Bruges e scelse di portarlo alla Lazio, nel 1996. Il profilo dell’australiano era intrigante e in Patria se n’erano già accorti, tanto che il giocatore era già nel giro della Nazionale da qualche anno. Perché le qualità c’erano ed erano anche piuttosto rare: un libero dai piedi buoni, in origine, riadattato poi come mediano d’ordine e di ragionamento, con la missione di far arrivare la mente e il pallone dove lo scatto talvolta non arrivava. 

Tutto il meglio di…quello che sarebbe potuto essere e non è stato

QUEL MALEDETTO GINOCCHIO – Il 1996 fu un anno centrale nella carriera di Okon, non soltanto per il passaggio in Italia: l’elezione a calciatore dell’anno proveniente dall’Oceania, dopo essere stato segnalato come miglior giocatore del campionato belga, sembrava potesse sancirne il definitivo salto di qualità verso il calcio che conta. Ma qualcosa non andò per il verso giusto: il fisico non rispondeva a dovere, i continui problemi alle ginocchia non permisero all’australiano di trovare continuità in maglia biancoceleste. Soltanto 19 presenze in tre stagioni, di cui una saltata quasi per intero (1997/1998), danno la dimensione di quanto siano rimaste inespresse le qualità di Okon in Serie A. Le vittorie in biancoceleste (una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa delle Coppe, in compagnia dell’amico di sempre Vieri) attenuano solo parzialmente i rimpianti per quanto poteva essere fatto e rimase invece irrealizzato. Il copione non cambiò nemmeno a Firenze, sotto la guida del Trap: dopo un arrivo in sordina nell’estate del ’99 Okon collezionò solo 11 presenze con la maglia della Fiorentina, lasciando intravedere qua e là sprazzi di qualità ma confermandosi nel ruolo poco invidiabile di talento inespresso. La leggenda di una visita medica che ne rivelò una gamba più corta dell’altra aggiunse colore ad un arrivo passato altrimenti sotto silenzio, in attesa di nomi più altisonanti. Cosa resta delle annate italiane? Visione di gioco, attenzione in marcatura ed un carattere da leader silenzioso, aspetti purtroppo offuscati da un ginocchio che non dava pace. Lasciata l’Italia (ritrovata poi brevemente con l’esperienza di Vicenza) Okon affrontò l’avventura inglese con le maglie di Middlesbrough, Watford e Leeds tra il 2000 ed il 2003: in particolare fu nel Boro che l’australiano trovò finalmente continuità, disputando una stagione positiva in Premier League dopo anni passati tra infermeria e panchina.

Paul Okon che, palleggiando in scioltezza, risponde alle domande fondamentali

UNA NUOVA PROSPETTIVA – Paradossalmente proprio sul finire della propria carriera, il famigerato viale del tramonto, Okon riuscì a ritrovare confidenza col terreno da gioco facendo ritorno in Belgio (nell’Ostenda) dopo 10 anni dalla fortunata esperienza nel Bruges. Altro ritorno, l’ultimo da calciatore, fu quello in Patria nei Newcastle Jets. Un legame, quello con l’Australia, destinato poi a rinnovarsi anche una volta abbandonato il calcio giocato: Okon, dopo essere ufficialmente entrato nell’Hall of Fame del calcio australiano nel 2009, ha assunto la guida dell’Under 20 e tutt’ora seleziona e dirige i migliori giovani del suo Paese, confidando nella crescita dell’intero movimento calcistico dei Socceroos e contribuendo in prima persona. Le aspettative, anche come tecnico, non mancano: dice di ispirarsi a mostri sacri come Zeman, dal punto di vista tattico, e Trapattoni per quanto riguarda la gestione del gruppo. L’alba di una nuova carriera, quella in panchina, potrebbe prospettare soddisfazioni e far finalmente accantonare i rimpianti: nessun infortunio da maledire, nessuno che parli più di lentezza e una testa che, fin da ragazzo, è sempre stata quella giusta.

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