2015

Paolo Baldieri, un gelato al pallon

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«Romeo Anconetani una volta mi disse: ‘Baldieri, lei è così onesto che le do 10 milioni in più’…»

Il tempo corre malandrino e, quando raggiungo telefonicamente Paolo Baldieri, non posso fare a meno di fargli gli auguri (in anticipo) per i suoi primi cinquant’anni che l’ex attaccante giallorosso compirà -manco a farlo apposta – il prossimo 2 febbraio. «Diciamo che ho fatto mezzo melone!», sintetizza lui di ritorno da una fiera del gusto in quel di Rimini. Gusto? Già perché l’ex attaccante di Roma, Pisa, Empoli e Lecce (per citare le quattro squadre con cui ha giocato in serie A tra gli anni ’80 e ’90) attualmente di mestiere fa il gelataio presso il ‘Baldieri Dolce & Salato’, accattivante luogo leccese dove i sapori si sposano con le sane tradizioni di una volta. «Il locale è in piazza Mazzini – prosegue Paolo – un punto nevralgico di Lecce e sono talmente preso da questa mia recente attività che sto sempre sepolto in laboratorio a sperimentare con questo o quell’ingrediente. Una gran bella soddisfazione saper usare le mani oltre che i piedi!». Eppure anche quelli meritano di essere raccontati. Perché, di fronte ad un numero di certo non esorbitante di marcature (18 gol il suo bottino totale in massima serie), Baldieri ci metteva sempre e comunque estro e passione, oltre che sudore e senso assoluto della lealtà («Io ho sempre giocato per vincere. Ogni singola partita la affrontavo alla morte. Altri non so…»). Come ogni buon romantico del pallone che si rispetti.

Baldieri ed il dopo-calcio: come andarono esattamente le cose? Tu ti ritirasti nel 1998, dopo un’ultima stagione tra i dilettanti del Civitavecchia…
«Sì, ma lì avevo già 33 anni, un’età in cui fai i conti con certe situazioni, dopo-calcio compreso. Il dramma, però, fu che cominciai a pensarci a 24…»

Abbastanza precoce.
«Giocavo nell’Avellino ed ero continuamente tormentato da dei dolori atroci alla schiena. Così cominciai a discutere con mia moglie su quale sarebbe stato il mio futuro aldifuori del mondo del pallone: pensavamo di aprire un campeggio, un locale lungo il mare, qualcosa che ci tenesse in mezzo alla gente. Finché non intervenne lo Stregone…»

Lo Stregone?
«Sì, Ruben Oliva, il medico personale di Maradona, a me piaceva chiamarlo così per via di quegli strani intrugli che mi siringava nella schiena (Il dottor Oliva morirà il 16 settembre del 2013 all’età di novant’anni, NDR). Ovviamente ero spaventato a morte da certe iniezioni mediche, ma lui mi assicurò che erano solo dosi di cortisone ed in effetti i risultati non tardarono ad arrivare. Il male sparì, io feci un ottimo girone di ritorno e a fine anno tornai alla Roma

L’ennesimo tuo ritorno alla Roma, dopo le continue peregrinazioni (in prestito) a Pisa, Empoli ed Avellino...
«Faceva parte del mio carattere: tornavo alla base, svolgevo il ritiro estivo ma se non c’era spazio in prima squadra, me ne volevo annà a giocà altrove! (ride) Questa storia è andata avanti per anni, finché il Lecce non rilevò il mio cartellino nel 1991 donandomi altri quattro anni di grande football. Molti a quei tempi mi hanno accusato di essere stato una testa matta, uno che non aveva pazienza, che restando alla Roma mi si sarebbero aperte più porte… Boh, che te posso dì? Io giocavo a calcio per divertirmi, non per fare calcoli con questo o con quell’altro.»

Sai, mi fa ridere questa polemica odierna dei giovani italiani che non trovano spazio in serie A perché pure tu, in quei tanto decantati anni ’80, avevi davanti un po’ di tutto (Pruzzo, Graziani, Boniek, Voeller ecc.) per quel che riguarda gli attaccanti giallorossi “stagionati”…
«Mi sa che però ti sei scordato un nome. Un mio mezzo coetaneo…»

Ci stavo arrivando: Ruggiero Rizzitelli. È stato lui il tuo più grande ostacolo verso una maglia da titolare nella Maggica?
«Rizzitelli è stato un signor attaccante, però alla Roma costò qualcosa come 10 miliardi di lire. Mentre io che ero un prodotto delle giovanili arrivai in prima squadra praticamente a costo zero. È logico che in quel caso cerchi di valorizzare al massimo il capitale su cui hai investito…»

Tant’è che agli Europei dell’88 ci va appunto Rizzi-gol, mentre tu che eri il bomber della Under 21 di Vicini (alias la prima “incubazione” di quella che diventerà la Nazionale che giocherà i Mondiali del ’90) vieni completamente dimenticato. Come mai?
«Non lo so. Forse mi mancava un po’ di fiducia in me stesso, forse bisognava far giocare nomi più ‘pesanti’ tipo Donandoni o Mancini, ti giuro che non l’ho mai capito… I numeri, in quella Under 21 del biennio ’85/’86, erano tutti dalla mia parte: 14 presenze e 9 gol segnati. Pur partendo dalla panchina, ogni volta che entravo finivo per buttarla dentro: facevo un bel tandem con Luca Vialli e tutto andava per il meglio. Fino alla strana notte di Valladolid…»

29 ottobre 1986, Valladolid, finale di ritorno dell’Europeo Under 21. Gli azzurrini perdono ai rigori contro la Spagna e tu vai a finire in tribuna…
«Al Flaminio, due settimane prima, però giocai e vincemmo 2-1. Mi sentivo una belva in vista del ritorno eppure quello fu il giorno che diedi l’addio alla maglia azzurra. Ci restai malissimo, ovviamente, ma le mie lamentele non fecero baccano, rimasero – per così dire – sullo sfondo. Pensa che tanti anni dopo incontrai per caso Azeglio Vicini ma, essendomene ormai fatto una ragione, evitai di tornare sull’argomento-Valladolid…»

Ti è rimasta qualche amicizia-VIP di quei giorni? Ti senti ancora con Zenga, Vialli, Mancini, Donadoni ecc.?
«No, io sono schivo di natura: a volte incontro qualche vecchio collega e allora giù baci e abbracci, ma solitamente mi piace restarmene con la mia famiglia, godermi le ferie d’agosto, andare a pesca: fare cose normali, insomma.»

Allenare non ti hai mai allettato? E dire che come maestri hai avuto personaggi di assoluto spessore come il Barone Nils Liedholm e Gigi Simoni.
«Allenare no, mai. Sono felice per quello che sta combinando Stefano Colantuono all’Atalanta (ex compagno di Paolo ai tempi del Pisa, NDR) ma lui sta a Bergamo, è stabile da tanti anni in un solo posto. Se penso invece a quei cinquantenni che ancora girano l’Italia in lungo e in largo, magari con la famiglia a 600/700 chilometri di distanza, mi vengono i brividi…»

Walter Mazzarri, nella sua autobiografia uscita l’anno scorso, si lamentava proprio di questo: di non aver visto crescere suo figlio impegnato com’era tra le panchine di Livorno, Reggio Calabria, Napoli e Milano.
«Sul serio Mazzarri ha scritto così? Io me lo ricordo l’anno di Empoli (’87/’88, NDR) che lo andavamo a prendere fuori dalle discoteche! (ride) Certo, si era tutti quanti più giovani. Poi è logico che si cresce e si matura.»

Quindi allenare assolutamente no. Insegnare invece…
«Eh, aprire una scuola-calcio è un sogno che torna spesso a solleticarmi. Soprattutto dopo l’esperienza che ho svolto fino al 2005 in FIGC, dove mi occupavo di selezionare gli Under 16. Anche lì però il rapporto si è chiuso improvvisamente, con tanto di lettera che mi sollevava dall’incarico senza fornirmi troppe spiegazioni in merito. Mah…»

Insomma, dopo tante amarezze, meglio dedicarsi alle cose buone che solleticano il palato…
«Già, anche perché quest’avventura del gelato mi ha preso in maniera esagerata. Passo ore ed ore in laboratorio a sperimentare gusti, a mischiare ingredienti, a lavorare sodo come si faceva ai tempi dei miei nonni. Fai conto che io sono la disperazione delle aziende di semi-lavorati! (ride) Se ti devo fare un gusto alla fragola, vado a cercarmi le fragole al mercato, non gli equivalenti chimici. Diciamo che com’ero un creativo in campo, lo sono rimasto anche ora che indosso la divisa da chef.»

A proposito di creatività: mi viene in mente un gol che una volta facesti contro l’Inter…
“Fu alla prima giornata di ritorno del campionato ’85/’86: Pisa-Inter all’Arena Garibaldi. Controllo di coscia, sombrero di destro sopra la testa di Riccardo Ferri e tiro al volo di sinistro nel sette. Con Walter Zenga che fa un bel volo, ma finisce per raccogliere la palla in fondo alla rete. L’ho rivisto recentemente su YouTube e, devo ammettere, che quello è stato il mio più bel gol in quindici anni di carriera. Poi ne segnai un altro memorabile a Peruzzi della Juventus quando vestivo la maglia del Lecce; ma quello di Pisa resta di un altro pianeta.»

Dato che abbiamo parlato del Pisa, è inevitabile chiudere con un bel aneddoto su Romeo Anconetani...
«Guarda, il ricordo più caro che ho di Romeo mi riporta all’estate del 1984, quando dovetti firmare il mio primo contratto con la squadra nerazzurra: avevo 19 anni, smaniavo dalla voglia di giocatore e avrei siglato quel documento praticamente in bianco. Ma Anconetani voleva che io pronunciassi una cifra a tutti i costi. E alla fine, con grande imbarazzo, gli svelai le mie modeste richieste.»

E lui…
«(Baldieri comincia ad imitare la voce aspra dell’inconfondibile padre-padrone del Pisa, talmente bene che per un attimo mi sembra di stare in contatto con l’Aldilà, NDR) Va bene, Baldieri, lei è così onesto che le do 10 milioni in più. Di solito – quando tratto coi calciatori – io punto al ribasso, ma lei mi ha davvero aperto il cuore e questi soldi se li merita tutti… Ah, avercene al giorno d’oggi di presidenti come Anconetani, Viola o Jurlano!»

Rubrica a cura di Simone Sacco (per comunicare: calciototale75@gmail.com)

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