Serie A

Buon compleanno a… Angelo Palombo

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Oggi è il compleanno di Angelo Palombo, per lui una lunga carriera in Serie A con la maglia della Sampdoria

Oggi Angelo Palombo compie 42 anni. Definirlo un’istituzione della Sampdoria non è un’esagerazione. A precederlo nella speciale classifica dei più presenti di sempre ci sono solo tre giocatori: Roberto Mancini, Moreno Mannini e Pietro Vierchowod. E senza nulla togliere a tre mostri sacri di questa portata, va detto che Palombo è più giovane, ha giocato in formazioni blucerchiate meno di alto livello, ha sofferto di più. Conseguentemente forse merita un surplus di considerazione per questa capacità di vivere anche lunghi periodi di difficoltà. Compreso quello dell’anno scorso, quando in qualità di allenatore (la sua nuova professione) ha fatto parte dello staff di Dejan Stankovic in quella che non è stata una semplice stagione e forse neanche una semplice storia sportiva. Perché quando vivi un presente di crisi sul campo, connesso a problemi societari così gravi da far ventilare persino l’ipotesi di un fallimento, il calcio è solo uno degli ambiti, ce ne sono diversi che incidono sull’umore e la quotidianità. Anche se certo, in questi momenti le parole stanno tra la professione di fede e il crederci per davvero, e Angelo non si è sottratto nel cercare d’infondere coraggio: «La situazione è difficile però non molleremo. Stankovic ha il carattere di Mihajlovic: crediamo nel miracolo».

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Già tre anni fa, del resto, il suo senso di appartenenza e il profondo legame con con il clun lo aveva portato a definirla come orizzonte progettuale del suo lavoro: «Io prossimo tecnico della Sampdoria? Ogni allenatore vorrebbe allenare una squadra così, a maggior ragione per me sarebbe un sogno. Mi piacerebbe partire con una prima squadra, ma un po’ di gavetta può far bene».

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Cosa significa giocare 459 partite nello stesso club. Si parte nel 2002, si finisce nel 2017, in un percorso con una sola piccola interruzione, pochi mesi a Milano che, peraltro, in un’intervista a Primocanale, ha espresso come rimpianto: «Tornando indietro non andrei mai all’Inter, ma non ci volevo andare nemmeno all’epoca, fui costretto ad accettare la destinazione». Ance perché, in un calcio dove gli oltranzisti ti chiedono fedeltà estrema, non sono mancate le critiche di parte della tifoseria dopo, incapaci di accettare l’idea che si possa cambiare, senza che questo vada a sporcare una storia di straordinaria continuità: «Io non mi sono mai pentito delle mie scelte, penso che quando rimani tanto tempo in una società a qualcuno sei indigesto, ma io ho sempre voluto rimanere alla Sampdoria». Un sentimento di diffidenza che persino nelle ultime fasi di carriera ha avvertito, come dichiarò nel 2016: «Quest’anno ho avuto la sensazione che da parte di un po’ di gente ci fosse della prevenzione nei miei confronti. Una minoranza, perché la tifoseria va solo ringraziata per averci sempre sostenuto in questa annata di delusioni. Si è creduto più a certe malignità che alla mia sampdorianità. Tutte voci, senza riscontro. Senza prove. Che hanno incattivito l’ambiente». Chissà se gli ha pesato smettere a 35 anni, quando alcuni ipotizzavano che avrebbe anche potuto andare decisamente più in là, collezionare ancora più presenze, entrare nel podio dei grandi sampdoriani, anche se 34 partite da giocare non sono esattamente poche quando l’età avanza. Tanto più che nelle ultime due stagioni Angelo non aveva mai toccato la doppia cifra, il suo apporto alla causa era sempre più marginale.

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Uno dei suoi primi allenatori, Massimo Cipriani, che lo ha svezzato quando muoveva i primi passi nella sua Ciociaria, lo ha raccontato a Il Secolo XIX come un ragazzo determinatissimo ad emergere, con un carattere speciale, agonisticamente validissimo e con un pregio che tutti i mister, di qualsiasi categoria, vorrebbero trovare: «Negli anni è diventato un leader e ha cominciato a fare tutto. Una volta parlavamo e mi ha detto: io faccio sempre quello che dice l’allenatore. Il mio piccolo regista non è mai cambiato».

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