2012
Non c’è calcio senza Brasile
Il calciomercato invernale è ancora nella sua fase embrionale, ma si sta piano piano schiudendo dal guscio che l’avvolge, e noi possiamo già intuirne i suoi vorticosi sviluppi. La cosa che risalta maggiormente all’occhio, in questi scorci primordiali di mercato, è che nel nostro calcio si stanno piano piano estinguendo i brasiliani: esseri bellissimi, di assoluta rarità, portatori di classe e sregolatezza. Ne abbiamo avuti tanti nel nostro campionato, li abbiamo comprati, ce li siamo goduti, ce li siamo coccolati a dovere, ma adesso pare proprio che dovremo imparare a farne a meno. Galliani infatti è volato in Brasile pronto a vendere i talenti carioca. Ahimè le cessioni di Pato e Robinho sono il chiaro sintomo che i giocatori brasiliani, almeno nel nostro campionato, stanno lentamente scomparendo per cercare climi più miti, vegetazioni più rigogliose e, soprattutto, il rumore del mare, che fa da eco al loro straordinario talento.
Si è parlato di saudade, quello strano sentimento che prima di Pato e Robinho aveva colpito anche Ulisse e il nostrano Foscolo, i quali, alla stregua dei brasiliani, avvertirono una terribile, implacabile, nostalgia della propria madre patria. In questi casi non ci si può fare niente: il ricongiungimento è inevitabile.
Ma ve lo ricordate quanto ci hanno fatto divertire, patire e poi di nuovo esultare i giocatori brasiliani? Pensando a loro vengono in mente storie di sole, asfalti scottanti, favelas e palloni cuciti a mano. Storie di talenti cresciuti in periferia, storie di guai, di piedi nudi, di aerei perennemente in ritardo e viaggi oltreoceano. Solitamente se ne vanno dalla madre patria ancora in braccio alla pubertà, portandosi dietro, oltre ai brufoli e all’apparecchio – come nel caso del Papero – anche una valigia di sogni, un bel po’ di talento e tanta, tanta allegria. Quell’allegria capace di contagiare il gelido, materiale e ultra milionario, calcio europeo.
La memoria mi rammenta lo stravagante Edmundo, comprato da un altrettanto stravagante Cecchi Gori per la modica cifra di 15 miliardi di lire. Il giocatore arriva a Firenze e ad aspettarlo vi è una folla festante, pronta a ricoprirlo di affetto. A lui spetta il prestigioso compito di affiancare Batistuta, uno che al goal dava del tu. Nella stagione 1998-99 la Fiorentina di Trapattoni, grazie anche ad uno spumeggiante Edmundo, è campione d’inverno, lanciatissima verso il tricolore, ma i viola non avevano fatto i conti con il Carnevale di Rio. Il calciatore infatti, non appena furono iniziate le prime celebrazioni, avvertì subito il richiamo della madre patria e prese il primo volo disponibile per Rio. La Fiorentina, proprio mentre O Animal era a godersi il Carnevale, perse punti fondamentali e anche il primato in classifica. In quegli anni però a dare vero spettacolo era un altro brasiliano: Ronaldo. Ai colori nerazzurri ilFenomeno ha regalato goal e genialità, ma a parte una Coppa Uefa non ha saputo conquistare altri titoli. Di lui, oltre ai 58 goal segnati in Italia, restano le tante lacrime versate, ora per un susseguirsi di terribili infortuni, ora per uno scudetto sfumato nell’ultima partita di campionato nella primavera del 2002. A ricordarne le movenze, la terribile ferocia sotto porta e le straordinarie qualità tecniche fu un certo Adriano, che i tifosi dell’Inter presto elessero come loro Imperatore. Ma anche la sua avventura in Italia seppe accendersi tanto focosamente quanto spegnersi con terribile premura. Come scordare poi il sorriso di Ronaldinho, la sua allegria contagiosa, il suo sapersi divertire incantando gli spettatori. Perché una cosa i brasiliani ce l’hanno insegnata: nel calcio, più che i soldi, conta divertirsi. Essi giocano con melodia, scandendo la loro classe a ritmo di fantasia, estro e originalità. E allora forse, più che la classe austera e puramente scolastica dello svedese Ibrahimovic, al Milan, in questo inizio di stagione traballante, è mancato il talento spensierato, sregolato e imprevedibile dei suoi – ancora per poco – giocatori brasiliani.
Ormai i talenti carioca l’hanno capito: tentare fortune in Europa non è poi così conveniente. Neymar ne è la dimostrazione: si può vivere il sogno del calcio anche in pantofole nel salotto di casa propria, all’ombra del Cristo Redentor. Speriamo solo che ci sia ancora qualche gracile talento in erba pronto a sbocciare in Italia per diventare campione e regalarci, ad ogni Domenica, un sorriso con retrogusto di samba, del quale avremo sempre bisogno.
Insomma, un calcio senza brasiliani è come un cielo nuvoloso, apatico, triste, abulico, terribilmente noioso, lo stesso cielo che ora ricopre il nostro calcio.