2014

Noi ci avevamo provato ma loro vogliono vivere nel passato

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Serbia-Albania, l’avevamo auspicata diversamente. Ma la realtà ha travolto la più pessimistica delle previsioni

SERBIA ALBANIA KOSOVO QUALIFICAZIONI EURO 2016 – Noi Serbia-Albania, nel nostro editoriale, l’avevamo presentata così: prima di tutto una partita di calcio, perché mai va dimenticato come di questo si trattasse. Al contempo una grande occasione: quella di guardare avanti, di eleggere proprio lo sport a simbolo di superamento di un odio secolare che ha lasciato in eredità soltanto violenza, massacri ed arretratezza strutturale.

MA ERA LA NOSTRA IMMAGINAZIONE – Più che presentarla in un certo modo l’avevamo immaginata: perché poi il crudo responso della realtà ha travolto la più pessimistica delle previsioni. I fatti: trasferta vietata ai supporter albanesi – decisione a dire il vero presa piuttosto tardivamente – e dunque Partizan Stadium di Belgrado in pieno controllo serbo. Sin dalle primissime battute della gara si era inteso, questo in linea con le aspettative, come fosse un incontro assolutamente caldo considerando la presenza di numerosi ultrà nazionalisti: poi il franare degli eventi prima con fuochi e petardi lanciati in campo dai tifosi serbi, poi il drone albanese inneggiante all’autonomia del conteso Kosovo ed all’antico progetto etnico della Grande Albania, il seguente gesto dell’attaccante serbo Mitrovic ed infine il caos che ha portato all’aggressione di alcuni calciatori albanesi da parte di presunti tifosi (perché il tifo è tutt’altra cosa) serbi e la sospensione della partita.

UNA SCELTA PRECISA: VIVERE NEL PASSATO – La ricostruzione storica dei rapporti tra Serbia ed Albania è già stata ampiamente dettagliata nel precedente editoriale e non ci si tornerà in questa sede. Dalla speranza di un futuro pacifico e democratico ecco invece il responso: la scelta, ragionata, tutt’altro che frutto dell’istinto o del dolore per i soprusi subiti negli anni (da ambedue le parti in causa) ma una precisa anti-visione, è quella di restare nel passato. Ci eravamo appellati proprio nella precedente trattazione all’approccio delle nuove generazioni: adolescenti – in quel caso serbi e croati – che si fanno ritrarre avvolti nelle rispettive bandiere mentre si baciano. Un simbolo perduto. Perché ieri in quel di Belgrado di adolescenti ce ne erano pochi ed invece giravano le solite facce: quelle di Bogdanov e compagni, quelle di chi se ne sbatte della possibilità di un futuro diverso ma che sguazza nell’odio e nell’ignoranza di un passato nefasto. Oltre al simbolo del bacio c’è proprio quello dello sport: un veicolo per trovare comunanza di intenti che invece nella notte di Belgrado si è tramutato nel migliore scenario possibile per perpetuare violenza e viltà.

NON E’ COLPA DELLA UEFA – E non c’è spazio neanche per il drone, sia chiaro: non c’è spazio per il ruolo delle vittime. O meglio, i calciatori albanesi lo sono senza possibilità di essere smentiti, ma chi ha ideato quel colpo da teatro – a prescindere dalla bontà o meno delle rivendicazioni – avrebbe dovuto pensare al luogo ed al momento in cui si trovava. Ossia al Partizan Stadium di Belgrado per assistere ad una partita di calcio. Niente di tutto questo e non si attribuiscano responsabilità all’Uefa che avrebbe dovuto evitare la possibilità di un faccia a faccia tra Serbia ed Albania: chi vi scrive è il primo che critica quando c’è da farlo ma non si può colpevolizzare qualcuno perché ha pensato di non essere nel pieno di una guerra. Il sorteggio è sorteggio e guarda caso il destino aveva offerto una chance: purtroppo c’è chi ha preferito buttarla al vento. Rinfocolando anzi malevolenze mai assopite. E’ un passato che oggi fa comodo: se negli anni c’è chi ha combattuto questa guerra di rivendicazione – pur sbagliando – nel segno di un ideale o di una convinzione, oggi, nel 2014, il progresso tecnologico consente di informarsi. E di capire. E se non si capisce è perché non si vuole farlo, continuando a vivere nell’ignoranza.

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