Vita, morte e miracoli di un cartellino giallo - Calcio News 24
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2015

Vita, morte e miracoli di un cartellino giallo

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I secondi che cambiarono la Juventus: il giallo a Nedved in quell’indimenticabile 3-1 al Real Madrid

Sono passati solamente dieci minuti dal gol del tre a zero, e che gol: Zambrotta recupera palla a centrocampo, corre sulla destra e lancia lungo con il collo esterno del piede destro. La palla si inarca e scende dopo la linea difensiva, i centrali Helguera e Hierro sono proiettati in avanti per riuscire a recuperare il risultato e in quel momento sono costretti a indietreggiare. Il cambio di passo e un fisico non da velocisti li rallenta quand’ecco che tra di loro si infila Pavel Nedved. Il ceco si imbuca in mezzo alla coppia difensiva delle merengues e si trova al limite dell’area. Davanti a sé ha solo Casillas, dietro il portiere sono una sterminata folla bianconera che sta sognando la finale di Manchester. Settantatré minuti di corse a perdifiato ma Nedved ha ancora la voglia di correre su quel pallone e con il destro lo scarica in gol per il tre a zero, dirigendosi ad esultare sotto la curva che lo ama più di ogni altra cosa. Dieci minuti dicevamo, sono passati solamente dieci minuti da quel gol e adesso il Real Madrid gestisce il pallone a centrocampo, il lancio di Salgado finisce dritto sui piedi del neo-entrato Steve McManaman, il quale stoppa elegantemente e affronta Pavel Nedved. A sette minuti e venti secondi dalla fine più eventuale recupero al Delle Alpi il tempo si ferma.

PRIMO FLASHBACK – Il 1996 ormai è lontano nel tempo, l’Europeo in Inghilterra aveva fatto conoscere a tutti di che pasta fosse fatto Pavel Nedved, un giocatore che per la costanza e l’abnegazione assomigliava molto al suo connazionale Emil Zatopek. Entrambi correvano come se fossero ineseguiti da un branco di lupi, eppure la fatica non si disegnava mai sui loro volti un po’ contriti e seri. Nedved correndo si fece strada fino in finale a Wembley e poi fino a Roma, dove lo prese la Lazio. In biancoceleste affinò le sue doti tecniche – per quelle atletiche non ce n’era bisogno, era una macchina perfetta – e si trovò in squadra dei campionissimi nel loro momento migliore, riuscì a vincere uno Scudetto e anche una Coppa delle Coppe segnando a Birmingham la rete decisiva contro il Maiorca con un bolide al volo da fuori che bene si intonava con quella meravigliosa maglia giallonera che aveva nel 1999 la Lazio. Centrocampista offensivo, ala, polivalente nato: mancino naturale, ha saputo nel corso del tempo perfezionare il destro tanto che, come accade solo ai grandissimi, non si capiva se fosse destrorso o meno, tipo Maldini. La Juventus nel 2001 ha qualche miliardo delle vecchie lire da spendere, ha appena venduto Zidane al Real Madrid e ha l’opportunità di rifare mezza squadra; Nedved arriva a Torino per la cifra monstre di settanta miliardi, accompagnato da gente come Lilian Thuram e Gianluigi Buffon, anche loro in campo al Delle Alpi il 14 maggio 2003, semifinale di Champions League. Juventus contro Real Madrid, Nedved contro Zidane.

L’AMORE E’ CECO – «Scusa Zidane, ma l’amore è ceco» dice uno striscione che campeggia in curva al Delle Alpi, la stessa curva sotto la quale Nedved ha da poco lasciato il segno con il tre a zero. Adesso fronteggia Mc Manaman ed è in piena trance agonistica, come tutte le volte in cui mette piede in campo, come se dovesse dimostrare che quello Zidane che sta dall’altra parte del campo – e che l’anno prima ha realizzato il gol più bello della Champions – appartiene realmente al passato. Lo stesso Zidane che è entrato poco in partita e si è dovuto mangiare le mani quando ha visto Figo al 67′ prendere un rigore che gli spettava per diritto divino: sul due a zero per la Juve, dato il 2-1 del Bernabeu, un gol del Madrid vorrebbe dire supplementari. E invece no, dopo aver assistito alla zampata di Trezeguet e alla solita prodezza di Del Piero nel primo tempo, Zizou deve sopportare anche un piattone centrale di Luis Figo, parato da Buffon fra l’entusiasmo generale. Zidane è un po’ lontano da Nedved quando i minuti sul cronometro stanno per diventare ottantatré. Il centrocampista inglese delle merengues è in possesso di palla, l’azione non sembra aver né capo né coda, il tabellino dice tre a zero e i pericoli da correre ormai sono pochissimi. McManaman è a un metro da Nedved, basterebbe un intervento pulito in scivolata e la Juventus addirittura potrebbe ripartire in contropiede per segnare un poker storico al Real. Finora è stata la partita perfetta, la squadra di Lippi non ha mollato un centimetro e si è meritata il risultato. Nedved si fa prendere da un eccesso di foga e decide di entrare in tackle. McManaman si sposta il pallone sulla sinistra, Nedved lo tocca e l’inglese sembra esitare un momento prima di cadere a terra. L’arbitro, Urs Meier, fischia il fallo e si avvicina.

SECONDO FLASHBACK – La Svizzera da sempre ha significato neutralità in qualsiasi campo. Gli svizzeri sono metodici, rigorosi e puntigliosi, come il luogo comune vuole sottolineare. E Zurigo è forse l’emblema di questa precisione. E’ anche il luogo dove il 22 gennaio del 1959 nacque il carnefice della Juventus, l’uomo che per una decisione tutto sommato giusta è stato odiato da generazioni di juventini e ha dato adito a miliardi di “Se fosse andata così“: Urs Meier. Internazionale dal 1994, l’arbitro Meier ci ha messo poco per affermarsi come uno dei fischietti migliori in Europa; sono gli anni dei Milton Nielsen, degli Hauge, degli Ivanov e dei Collina, gli arbitri europei godono di una grandissima considerazione. E’ anche per questo che nel 1998 Sepp Blatter, capo della FIFA e suo connazionale, decide di mandarlo in data 21 giugno allo Stade de Gerlande di Lione. Meier ha la faccia da arbitro, severo e inflessibile nell’applicare il regolamento, e in quel giorno lì si sfidano la nazionale americana e quella iraniana, un match che va al di là dei normali confini calcistici. Serve un arbitro imparziale come la Svizzera, rigoroso come la Svizzera e magari anche svizzero, quindi Urs Meier. Cinque anni più tardi è pure in lizza per la finale di Champions League che si deve giocare a Manchester, ma stavolta non ha Blatter a raccomandarlo: a Old Trafford ci andrà Merk, anche perché di tedesche in semifinale non se ne vede l’ombra. Veissiere e Meier dovranno accontentarsi delle semifinali di ritorno. Il francese andrà a San Siro per il derby Inter – Milan, Meier al Delle Alpi per Juventus – Real Madrid.

GIALLO – Nedved ha appena allungato la gamba e McManaman si è steso a terra lentamente come uno di quegli attori da fiction televisive che non sanno recitare benissimo e quindi non muoiono ma cadono arrancando. Il ceco ha capito di aver fatto fallo, ma quando si gira e vede Meier avvicinarsi capisce che la situazione è più grave del previsto. Al Delle Alpi sono stati ottantatré minuti di entusiasmo e passione per la Juventus, ma in quell’istante Torino si azzittisce e assiste imperterrita alla leggera corsetta dell’uomo in rosso verso il bianconero steso a terra e con le mani che si avvicinano sempre più al volto. Meier, inflessibile, porta la mano al taschino ed estrae il cartellino giallo più pesante della storia della Juventus. Pavel Nedved, che è l’arma in più in una squadra che già di per sé è formidabile, è stato ammonito e, in quanto diffidato, dovrà assistere alla finale di Champions dalla tribuna. Il ceco si porta le mani sul viso e poi sulla folta chioma bionda mentre un altro giallo ben più lampante si staglia nella serata torinese, con Meier ancora lì a infierire con lo sguardo duro su un giocatore consapevole di essersi perso l’occasione della vita. I dieci minuti successivi saranno un triste epilogo a una serata meravigliosa per la Juventus, proprio Zidane accorcerà le distanze ma quando ormai sarà troppo tardi e la Juve al triplice fischio ha un biglietto per Manchester dove incontrerà il Milan. A ragion veduta quel giallo può pure starci, non è un’entrata limpida e McManaman viene effettivamente toccato da Nedved, ma sono in molti a fare ricorso al buon senso: legge non scritta in Italia, leggenda metropolitana in Svizzera. Il 28 maggio 2003 verso le 23.20 italiane Shevchenko realizzerà il rigore decisivo che darà la Champions al Milan. La Juventus tornerà in Italia colpita nell’orgoglio e con la consapevolezza che tutto sarebbe stato diverso con Nedved. In una storia prima pagina della Gazzetta del 29 maggio il taglio grosso dice Diavoli in paradiso e celebra il Milan, ma spostando lo sguardo sulla sinistra si leggono le parole di Marcello Lippi, chiare e sibilline: «Vorrei rigiocarla con tutti i miei effettivi».

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