2016

I mutamenti della Juventus in attacco

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Come Allegri ha saputo cambiare in questi anni

Le squadre, com’è ovvio, non sono mai uguali a se stesse. Neanche quando mantengono gli stessi interpreti, è un dovere collettivo provare a cambiare e maggiormente se si deve inventare qualcosa in zona gol per provare a sorprendere gli avversari. Figurarsi poi se, di stagione in stagione, cambiano i componenti dell’attacco. E allora diventa particolarmente interessante capire di che portata sono le mutazioni, soprattutto se in qualche maniera continuano a funzionare.

La Juventus di Allegri è – sotto questo profilo – un interessante laboratorio. A maggior ragione perché il tecnico livornese ha ereditato una squadra dall’identità così strutturata com’era stata quella forgiata da Antonio Conte nel suo triennio. E non mancano le sorprese, alcune anche clamorose, se si va a vedere le tipologie prevalenti di realizzazioni che si sono verificate dal 2014-15 in poi.

La Juve di Conte ha due gol che costituiscono la summa dei desideri del suo allenatore, per sua stessa ammissione nel primo caso. Che è la rete segnata da Vucinic nel primo anno contro il Cagliari, una serie di giocate di prima che portarono il montenegrino a mettere il pallone dentro a porta vuota. La sintesi del gioco memorizzato imparato in quella stagione e riprodotta anche nel terzo anno, quello dei 102 punti, dove la maggior parte dei gol confezionati dalla squadra bianconera vedevano la ricerca dell’area di rigore con assoluta insistenza. Quando arriva Allegri il panorama cambia totalmente: la Juventus del suo primo anno, che inanella trionfi in Italia e arriva fino a  Berlino, segna ben 22 conclusioni da fuori area. E raccoglie questo bottino con una pluralità d’interpreti davvero notevole, sarebbe un errore pensare che tutto dipenda dalla presenza di Paul Pogba. La realtà è che quella Juve possiede già una forte consapevolezza tecnica e il suo nuovo tecnico lavora molto per accentuarla ed esaltarla. Ne è l’emblema la trasferta di Dortmund, decisiva per regalare all’intero ambiente la convinzione di poter fare tanta strada in Europa. Ed in quella gara, dove funziona a meraviglia la capacità dell’insieme nel muoversi a fisarmonica e colpire appena si creano gli spazi, tutto ha inizio con uno straordinario destro dal limite di Tevez, che mette in discesa la strada e fa capire quanta voglia di vincere possieda il gruppo e il suo interprete più famelico.

Se ne va Carlitos e arrivano Dybala e Mandzukic. Impossibile non cambiare pelle. Eppure, la Juve continua a colpire in maniera rilevante da lontano, anche se in maniera meno frequente. La mutazione più evidente diventa la scoperta della profondità. Una conquista, più che una rivelazione immediata. Il primo acuto in tal senso si ha a Manchester in Champions League, in un momento di massima difficoltà: lancio di Pogba, zampata al volo di Mandzukic. E da lì in poi, qualcosa cambia nel profondo, la manovra trova una verticalità mai raggiunta con così tanta frequenza negli anni precedenti. Anche per questo matura l’acquisto di Higuain, alla luce di come il bomber argentino sa farsi trovare pronto in questo tipo di soluzione. Ed è proprio su questo, presumibilmente, che la Juventus edizione 2016-17 sarà destinata a crescere. Quella finora vista tra campionato e coppa dice un’altra cosa, molto figlia comunque delle attitudini di Gonzalo: stanno aumentando i gol “cattivi” e quelli sporchi, nati da errori delle difese avversarie, da respinte poco precise o da svarioni come quello che ha originato le due segnature nel big-match con il Napoli.

Per il resto, è bene non trascurare come in questo primo periodo si sia riscoperto Mario Mandzukic. Che può regalare un campionario di soluzioni diverse e la cui ritrovata vena, oltre alla consueta partecipazione generosa e altruistica, spiega non poche delle fortune di quest’ultimo periodo bianconero.

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