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Le gesta di Manuel Rui Costa: numero dieci in campo e fuori, ex fenomeno di Fiorentina, Milan e Benfica

GREASE – Il consumo mondiale pro capite di gel per capelli raggiunge picchi incredibili in Portogallo. Le industrie di brillantina smerciano da Braga a Faro una quantità di merce tale da fatturare più della Apple, per dire. Il calcio portoghese da sempre è molto vicino alle aziende produttrici di gelatina: si stima che Simao ad esempio una volta prima di un Atletico Madrid – Getafe ne consumò sedici barattoli in un quarto d’ora. Il profilo tipico del calciatore lusitano infatti è quasi sempre lo stesso per i tratti somatici e i capelli tirati indietro con la cazzuola e non il pettine, aria triste da bandolero stanco, carnagione scura e cuoio capelluto totalmente rilucente. Negli anni ’90 si riconoscevano i calciatori provenienti dal Portogallo perché avevano i capelli conciati in questo modo e perché poi avevano tutti quell’andatura caracollante ma straordinariamente efficace. Tra tutti questi giocatori, ai quali però mancava sempre quel quibus per essere fenomeni, si distingueva in particolar modo un essere che per correttezza chiameremo Manuel Rui Costa ma che in realtà andrebbe chiamato Dio, Krishna, Zeus o Wotan.

MUSAGETE – Ve lo ricordate Rui Costa, vero? Se non sapete chi è allora tornatevene a vedere Jersey Shore, perché adesso canteremo le gesta del lisboneto Rui, che infiniti lutti addusse alle difese avversarie con i suoi dribbling spiazzanti e una visione di gioco che avrebbe fatto comodo a qualche operazione militare. Non stiamo parlando di un giocatore qualsiasi, ve ne sarete resi conto, ma di un uomo che da piccolo è stato indicato dagli dei come profeta del calcio nel mondo, ambasciatore della signorilità applicata al pallone, maestro – anzi, O Maestro – dell’arte della sfera e magnifico rettore dell’Università del Passaggio Filtrante. Non bastano però le metafore per riuscire a spiegare il talento di un giocatore che in campo e fuori ha dimostrato di essere il migliore e che però in molti tendono a far passare in secondo piano, nonostante abbia fatto a suo modo la storia del calcio italiano e anche mondiale. Perché magari Rui Costa non era uno da rivista patinata, era più facile trovarlo al Country Club o in un Rotary a impartire lezioni di stile de eleganza. E’ infatti impossibile riuscire a pensare a Rui Costa senza richiamare l’arte, provateci, non a caso quel genio di Carlo Pellegatti lo ha soprannominato Musagete, come Apollo, guida e capo delle Muse.

FIRENZE (CANZONE TRISTE) – L’umanità ha avuto la fortuna di assistere nel 1972 alla nascita di Rui Costa e soprattutto diciotto anni più tardi lo ha visto indossare la prima maglia da professionista nel Fafe e poi l’amato Benfica. In Portogallo è una spanna sopra a tutti, indi per cui arriva la chiamata da Firenze. Firenze è città d’arte, questo dovete saperlo, e in uno dei posti più belli del mondo uno come Rui non può non esaltarsi: giunge alla Fiorentina nel 1994 e parte nel 2001, in questi sette anni vince due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana ma soprattutto incanta. Il Franchi batte il record mondiale di tifosi rimasti a bocca aperta, pensate che per quasi tutta la sua carriera viola ha fatto coppia con Gabriel Omar Batistuta e rimarrete estasiati. E’ riuscito a mandare in gol anche gente come Leandro Amaral oppure Balbo a sessant’anni, disegnando parabole perfette per i piedi e le teste dei compagni, preferendo sempre alla soluzione finale l’assist smarcante o la verticalizzazione. A Firenze è amato da tutti, con i fiorentini instaura un rapporto che in pochi giocatori nel capoluogo toscano sono riusciti ad avere. Se nei bar vicini allo stadio o anche nella periferia fiorentina nominate Rui Costa otterrete subito l’attenzione inebriata del vostro interlocutore.

SENTIRSI INNAMORATI A MILANO – Le storie belle sono belle perché non sono eterne, quindi con la Fiorentina sull’orlo del baratro Manuel è costretto quasi a passare al Milan, dove vince tutto in cinque stagioni ma soffre più di un problema: infortuni vari, il dualismo con Kakà – avessi detto Birsa -, l’arrivo di Rivaldo, la scarsa vena realizzativa. Tutte fandonie perché quando è stato chiamato in causa (a proposito, mai un lamento per le decisioni del mister Ancelotti), ed è stato chiamato in causa più di quanto possa sembrare, ha fatto quello che gli è riuscito meglio: con la chewing-gum in bocca, l maglia fuori dai pantaloncini e i calzini leggermente arrotolati, Rui Costa ha deliziato San Siro, che riconoscente ha sfiorato il già citato record del Franchi. memorabile la verticalizzazione di quaranta metri per Shevchenko in Milan – Real Madrid del 2002-03, ma sono tante le cose per cui Rui andrebbe ricordato, come il modo vellutato di calciare il pallone d’interno, l’andatura claudicante ma efficace, la straordinaria abilità nel saltare l’avversario. Si poteva subire un tunnel dal portoghese e nemmeno accorgersene. Rui Costa aveva un radar nella testa, capace di trovare il compagno prima di chiunque altro, riusciva ad essere in vantaggio di un secondo sull’avversario e badate bene che quel secondo lì è sempre stato decisivo.

LORD RUI – Poi venne l’addio al Milan, il ritorno al Benfica e nel 2008 il lutto mondiale del suo ritiro dai campi di calcio. Rui Costa ha lasciato tracce di straordinaria abilità calcistica, in Italia non c’è difensore che non abbia ubriacato o compagno di squadra che non abbia mai sfruttato un suo assist, ma soprattutto è riuscito a farsi amare da tutti, dai tifosi e dai colleghi. Due eventi sono significativi, quando da ex è tornato prima al Franchi in un Fiorentina – Milan e poi al Meazza in un Milan – Benfica ed è sempre stato accolto con uno scroscio di applausi e cori assordanti. Un signore, forse sarà un termine abusato ma comunque è quello che più calza a pennello al portoghese. Fuori e dentro il campo è stato un esempio di sportività, capace di tirare fuori un gol anche nelle situazioni più impensabili con un tocco in verticale o il suo tacco tipico, non colpendo direttamente il pallone con la parte posteriore del piede ma accarezzando la palla con l’interno basso e mandando la gamba indietro come in un passo di danza. Il numero dieci è stato azzeccato per poche persone, Rui Costa senza alcun dubbio è una di queste.

 

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