2020
Mourinho a Casa Sky Sport LIVE: «Dio aveva deciso che la Champions era nostra»
Dieci anni dal Triplete. Le parole di José Mourinho, ex tecnico dell’Inter, a Sky Sport, sull’avventura interista
José Mourinho, artefice principale del Triplete dell’Inter, grande protagonista della puntata odierna di a Casa Sky Sport. Il tecnico portoghese, ora al Tottenham, parla a Sky, raccontando segreti, retroscena, e non solo, sul Triplete nerazzurro, a 10 anni di distanza dalla festa nerazzurra. Su questa pagina tutte le dichiarazioni di Mou.
RINGRAZIAMENTI – «Grazie ai miei calciatori perché senza di loro non avrei vinto nessun titolo».
EMOZIONI – «Ci sono dei momenti indimenticabili nella nostra vita e questo è uno di loro. Il rapporto che ho con i giocatori, con Moratti, con tutti quelli che hanno lavorato lì è un rapporto speciale e penso che sia una delle cose più importanti. Il Triplete, la Champions, il sogno degli interisti, dei giocatori, il mio, ma anche Eto’o che l’aveva già vinta, però quello che rimane per sempre è il rapporto che abbiamo».
CAPOLAVORO – «I risultati sono la storia e senza il risultato non c’è vera storia. Mi sento veramente speciale con questa squadra perché va più lontano di quello che abbiamo fatto, scritto, nella storia dell’Inter e del calcio italiano. Sappiamo quello che significhiamo per ogni interista. Mi fa sentire speciale essere uno dei capi, una squadra con un capo non è una squadra. Siamo una famiglia anche 10 anni dopo: uno è in Argentina, uno in Brasile, altri in Italia, altri lavorano nel calcio, un altro è a Londra e siamo una famiglia, siamo amici per sempre».
LA FINALE – «A Kiev, all’85’, eravamo fuori dalla Champions. Contro il Chelsea era difficile. A Barcellona, quando Thiago è stato espulso, praticamente tutti hanno pensato che eravamo fuori ma quando siamo arrivati in finale la sensazione di tutti era che la Coppa era nostra. Anch’io lo sentivo e ho pensato di passare ai giocatori il messaggio corretto, Dio aveva deciso che la Coppa era nostra. L’Inter di Moratti aveva il potere di far sentire tutti in famiglia. Il gruppo è cresciuto nelle difficoltà e abbiamo avuto dei problemi. Chiaramente oggi parliamo del 22 maggio, della Champions, ma abbiamo dei problemi in campionato, ad esempio con il pareggio di Firenze passammo secondi in campionato, poi la finale di Coppa Italia con la Roma, qualche difficoltà con le espulsioni, e abbiamo avuto sempre questa forza che è la forza di un gruppo di amici».
IL MESSAGGIO DI ZANETTI – «Rido perché anche a più di 40 anni e con i parrucchieri chiusi, questo ragazzo ha sempre i capelli sistemati. Per me lui era il capitano dei capitani. Javier, Toldo, Cordoba, Orlandoni, Materazzi, un gruppo dal cuore nerazzurro e trasmettevano i valori ai compagni di squadra. C’è chi ha giocato di più e chi ha giocato di meno ma tutti sono stati importanti».
SNEIJDER, LUCIO ED ETO’O – «Avevano grande voglia di rivalsa, sono stati importanti, così come l’arrivo di Pandev. Abbiamo cercato giocatori che rinforzassero la squadra, volevamo una rosa più profonda. Anche Milito e Motta, che arrivavano dal Genoa, facevano un passo in avanti nella loro carriera, con ambizione di vittoria, come minimo, in Italia. Un grande grazie a Branca e a Oriali che hanno fatto un grandissimo lavoro, con Moratti che guidava il sogno».
NON PENSAVO A ME – «Io non ho mai pensato a me, ho sempre pensato in maniera altruista. Non sono speciale. Non ho mai pensato ‘ah vinco il premio miglior allenatore’, ‘vinco quest’altro’. Sono riuscito a essere umile, tranquillo, più attento agli altri e questi ragazzi hanno avuto questo potere su di me. Loro dicono che sono stato importante per loro, che ho lasciato un segno per sempre, ma sono io che devo ringraziare loro».
LA DINAMO KIEV – «All’intervallo ho visto gente triste e io odio gente triste quando c’è tanto da giocare. Ho pianto tante volte dopo le grandi vittorie e ho pianto solo una volta dopo le sconfitte, perché non mi piace farlo. Ero arrabbiato perché sentivo che la squadra poteva fare molto di più e in quell’intervallo penso di essere riuscito a fare i cambi tattici di cui la squadra aveva bisogno perché il pareggio non era un risultato buono per noi e la squadra nel secondo tempo è stata fantastica ed è stato un momento chiave perché perdendo eravamo fuori dalla Champions».
IL BARCELLONA – «La più bella sconfitta della mia vita. Senza la qualità dei giocatori e senza quel concetto di famiglia, non si poteva passare il turno contro quel Barcellona. Prima della partita con il Barcellona parlai di mio figlio che mi aveva detto di voler venire a vedere la finale e voleva vedermi vincere una Champions perché quando vinsi quella con il Porto era troppo piccolo e non la ricorda. Io nel mio discorso dissi ai ragazzi di pensare ai loro figli e siamo entrati in campo con quella sensazione di sì o sì. Il 22 maggio è il giorno in cui abbiamo toccato il cielo ma tutto parte da lontano».
L’ADDIO – «Alcuni mi chiedono perché non sono tornato a Milano dopo la finale. La risposta è lì: se ritorno a Milano non me ne vado più».
IL PALLONE – «Il pallone che ho portato via dalla finale? Quel pallone nel primo tempo, in un determinato momento, è uscito fuori e il raccattapalle ha lanciato un altro pallone. Uno dei nostri magazzinieri è andato a prendere il pallone, io gli ho detto subito, ‘questo pallone è mio’. Lui è andato a prendere il pallone e all’intervallo mi ha detto che l’aveva preso».
FUTURO – «Chi rivincerà la Champions per primo tra me e l’Inter? Vincerla non è facile ma vediamo. Io sono in una squadra che non ha mai vinto, che non ha questa cultura di vittoria, dove prima di vincere in Europa si deve cercare di vincere in Inghilterra e ovviamente non è facile, ma questa è la mia ambizione e di un club in crescita come il Tottenham. Dieci anni per l’Inter con una Coppa Italia è pochissimo, è inaccettabile, da tifoso è dura e difficile da capire ma visto il modo in cui sta lavorando la società non sarebbe una sorpresa vedere l’Inter vincere in Italia e in Europa».