2015

Il club più stritolato al mondo

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Il Milan è in crisi, questo è ovvio. Ma perché niente si muove tra i rossoneri?

IL CONDOR – C’era una volta, non molto tempo fa, una società calcistica in visibile disfacimento. Nonostante vivesse in una landa desolata abitata solo da condor e sebbene fosse palese a tutti che la compagine si stesse preparando all’ennesima stagione piena di incognite, la suddetta società calcistica ebbe l’ardire di affermare – tramite la voce dell’uomo più in vista, sempre così sorridente e sicuro di sé – che la Champions League sarebbe stata un obiettivo da raggiungere. In quel periodo, che pure lontano non è, i tifosi sentirono parlare di entusiasmo, una parola ripetuta più e più volte a fronte dei primi convincenti successi in stagione. Bastò una prima sconfitta, per di più in casa, per incrinare tutte le certezze della società e spedirla in quella spirale di ridicolo di cui si sta coprendo il Milan in questa stagione. Sì perché il terzo posto è miracolosamente lontano qualche punto in meno rispetto alle altre stagioni come è stato prontamente sottolineato in settimana da un vitale quanto tempestivo comunicato stampa. Le altre stagioni infatti, nonostante solo una volta l’accesso all’Europa sia sfumato solo all’ultima giornata, rappresentano il male, quella attuale invece è il bene, lo zenit dell’entusiasmo che si respira in casa rossonera. E non fate caso alla sconfitta con l’Atalanta, che è venuta a San Siro a dominare come è già successo al Sassuolo dieci giorni fa. Non prestate orecchio a chi vi dice che il Milan ha vinto due partite da novembre a oggi. E se il calciomercato vi pare raffazzonato e fatto solo di rumors impossibili da realizzare, allora vi sbagliate.

L’OMBRA DI CIO’ CHE ERAVAMO – Se il calcio fosse fatto solamente di ricordi e di riconoscenza non saremmo qui a protestare per l’ennesima stagione vergognosa del Milan, ma il mondo del pallone ha dimostrato che con i «Siamo il club più titolato al mondo» e gli «Abbiamo vinto 7 Champions» non si va da nessuna parte se poi si viene letteralmente stritolati da Palermo, Genoa e Torino. Berlusconi e soprattutto chi orbita intorno a lui devono capire che è giunta l’ora di farsi da parte, di evitare che il giocattolo si rompa definitivamente prima che sia troppo tardi: questo è forse il punto più basso degli ultimi 25 anni di storia rossonera. Nel 96-97 e 97-98 almeno c’erano Baggio, Maldini, Weah, Costacurta o Rossi, adesso invece per un tifoso del Milan sentire parlare dell’ennesimo rinnovo di Daniele Bonera è un colpo al cuore. Niente di personale, ma Bonera è il simbolo di questo Diavolo ridotto a brandelli: è a Milanello da nove anni e le partite in cui è stato migliore in campo si contano col codice binario, stando alle dichiarazioni di ex giocatori non ha neppure mai dimostrato di tenere al Milan e ai suoi tifosi, in ogni gara in cui gioca l’uomo che ha in marcatura segna o fa segnare eppure ha giocato più stagioni al Meazza di Andriy Shevchenko, per dire. Bonera comunque è una delle tante fisse di Filippo Inzaghi, il prescelto, l’eterno ragazzo che Galliani ha voluto fortemente sulla panchina del Diavolo e che si porta dietro a Formentera o Forte dei Marmi e con cui va a cena da Giannino, ormai nuova sede del Milan. Inzaghi avrebbe pure delle buone idee, il calcio che ha messo in mostra coi giovani è di sicuro un calcio vincente e sprint ma paga la sua continua accondiscendenza al volere della dirigenza. Sembra – e forse lo è – uno yes man dalla solite frasi trite e ritrite che deve trovare il bicchiere mezzo pieno anche quando è palese che pareggiare con questo Cesena è molto più difficile che vincerci. Inzaghi non si discute, va bene che da calciatore ha fatto godere i milanisti ma in questo momento sembra sempre più confuso tra cambi di modulo e calciatori comprati e venduti nello spazio di sei mesi. Per non parlare del falso nueve e della deriva spagnoleggiante che ha preso il Milan, evitabile.

IL MATTO SEEDORF – Perché mandare via Clarence Seedorf? Semplice: Seedorf voleva qualcosa, Inzaghi probabilmente si accontenta (o si deve accontentare) di quello che ha in rosa. Seedorf voleva preparatori personalizzati per reparto, voleva rifondare la rosa e voleva dei giovani che fossero bravi e non si perdessero in photoshooting di stilisti androgini. Inzaghi invece si è preso il mago dei calci piazzati Gianni Vio, ha preso l’Eterna (ed Eterea) Promessa Menez – qualche gol su rigore, un golazo di tacco alla peggior squadra di Serie A, molta indolenza e otto apparizioni totali nella propria metà campo – e si è dovuto accontentare di De Sciglio o El Shaarawy, fulgidi esempi dell’involuzione milanista. Per dire, Philippe Mexes è passato da fuori rosa a pedina insostituibile, Essien e Muntari giocano ancora a calcio in una squadra che dovrebbe lottare per l’Europa, ci sono giocatori da un gol stagionale che tramite la moglie mandano messaggi al mister sui social network: è il vero Milan questo? Lo stile Milan invocato da Galliani è incarnato da Riccardo Montolivo, rettore dell’alleggerimento al portiere? O è quello che voleva riportare Seedorf, prendendo gente competente e cercando di far vincere qualcosa a una squadra che ha alzato due trofei dal 2008 a oggi? Seedorf era l’allenatore migliore nel dopo Ancelotti, ma è meglio gestire qualcuno come Allegri, zitto e buono nell’assecondare le decisioni della dirigenza e anche a fare un po’ da parafulmini, diciamocelo. Il Milan è stato sventrato, sbudellato, privato delle sue parti fondamentali e messo sul banco della Serie A e del calcio internazionale perché tutti passassero a banchettare oppure a lasciare una misera offerta, che può essere un sorprendente Diego Lopez oppure l’arrivo di Alessio Cerci, anche lui del filone “corro quando mi pare, gioco come mi pare e non maturerò mai“.

TOP CLOEUB – Del calciomercato è bene non parlare. Il Milan si è infarcito di mezzali e di giocatori che sanno giocare solo sulla fascia opposta al loro piede per poi accentrarsi e segnare un gol a stagione. I pezzi pregiati sono dei regali inaspettati, come il succitato Lopez o la benevolenza dell’Atalanta nel fare da talent scout al Milan e proporgli Bonaventura dopo che il perfido Zaccardo aveva fatto saltare l’affare Biabiany. Il Sudamerica tanto nominato per le missioni degli uomini mercato di qualche mese fa ha portato tanto fumo e poco arrosto, anzi nessun tipo di arrosto che da Giannino sfigurerebbe nel menù. Cos’è rimasto dunque del Milan? Niente di positivo, ecco, anche se l’anno scorso di questi tempi andava peggio a livello di punti. Il fatto è che andare male quando sai che andrai male è sopportabile, vedere Denis che si infila tra i centrali e dà tre punti ai suoi a San Siro quando si era parlato di Champions League non meno di cinque mesi prima, ecco, quello fa davvero male. La difesa non ha né capo né coda, l’attacco non punge e il centrocampo vede solo l’ultimo mohicano de Jong a cercare di fare qualcosa che non sia lasciar passare gli avversari oppure andare a due all’ora. Vedere il Milan così è triste, andare allo stadio o accendere la tv solo per assistere all’ennesimo stritolamento tattico dei rossoneri è avvilente. La dirigenza deve fare qualcosa e quel qualcosa certamente non è sfoggiare l’ennesimo sorrisino mentre si parla dell’arrivo di Suso (al posto dell’italiano e giovane e mal utilizzato Saponara) oppure postare sui social network la notizia dell’ennesimo record di follower. Quel qualcosa è tornare a fare il bene del Milan, una volta tanto.

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