2020
Menez si racconta: «Dicevano che ero come Kakà, ho rifiutato la Juve di Conte»
Jeremy Menez ha parlato sulle pagine della Gazzetta dello Sport: queste le parole dell’attaccante francese sulla sua carriera
Jeremy Menez si è raccontato sulle pagine della Gazzetta dello Sport svelando alcuni retroscena della sua carriera.
KAKÀ – «Negli allenamenti dicevano che ero forte come Kakà, poi in partita avevo qualche pausa. Ero giovane, ma non ho mai sentito la pressione. Questa parola non mi rappresenta».
CARRIERA – «Potevo fare molto di più, ma non ho lavorato abbastanza. Pensavo bastasse il talento. Parma-Milan 4-5, in quel gol di tacco c’è tutto Menez».
MIGLIOR MENEZ – «Al Psg e al Milan, stagione 2014-15. Segnai 16 gol da centravanti, un ruolo che non avevo mai fatto. Solo da ragazzino, dribblando criminalità e pistole. Fu un’idea di Inzaghi. Peccato per l’annata storta, ma la colpa non fu solo di Pippo».
SPALLETTI E RANIERI – «Luciano era una bella persona. A volte mi sgridava, voleva farmi crescere. Sia lui che Ranieri sono stati due secondi padri. Mi guardavano con un occhio di riguardo. Nel 2010, poi, sfiorammo lo scudetto, non capisco ancora il perché di quella sconfitta con la Samp. A Roma non ho vinto niente, ma ho vissuto tre anni pieni di passione. Con grandi compagni, primo fra tutti Totti, un fratello maggiore. In campo ci intendevamo a occhi chiusi. I primi mesi ho vissuto a casa dei suoi genitori, come ave- va fatto anche Cassano anni prima. Persone fantastiche, come De Rossi. Giocavamo a carte durante i ritiri e stavamo sempre insieme».
FIDUCIA – «Ne ho bisogno. Se la percepisco, rendo al massimo. È accaduto al Psg con Ancelotti, il numero uno. Veniva con noi al ristorante, non urlava mai. Giocare a Parigi era il mio sogno, per questo scelsi di andar via da Roma. Dissi no anche alla Juve; ricordo le chiamate di Conte per convincermi a firmare».