2014
Menez: «Ho detto no a Ferguson»
E sull’esperienza a Roma: «Ho un bel ricordo, li ho nel cuore»
E’ un uomo d’istinto fuori e dentro dal rettangolo di gioco Jeremy Menez, che arriva da una delle periferie più difficili di Parigi, la Banlieu. Il passato rincorre l’attaccane del Milan, che ha rivelato di aver detto no al Manchester United in passato. Intervenuto ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, l’attaccante francese ha cominciato parlando della sua adolescenza: «Forse se non avessi avuto il calcio sarei finito in galera. Del resto, ci sono finiti un sacco di miei amici. Ci si rende conto di quanto sottile sia il filo che divide una vita felice da una vita buttata via. Dal quartiere me ne sono andato a Sochaux al momento giusto, a 13 anni, l’età in cui puoi iniziare a fare le stupidaggini più grosse. E a 16 anni sono rimasto lì e non sono andato al Manchester United, anche se mi voleva Ferguson, perché pensavo non fosse il momento giusto, non ero pronto. Magari avrei fatto una carriera anche migliore, che ne so: so che non mi sono mai pentito, mai», ha raccontato Menez, che ha anche rievocato l’esperienza alla Roma, parlando di amicizie: «A Mexes voglio bene perché abbiamo diviso un sacco di cose, Totti e De Rossi sono un bel ricordo di Roma e li ho nel cuore, ma i miei veri amici non sono nel calcio, a parte Benzema che è un fratello».
I SOCIAL NETWORK – Di sicuro Menez non è un tipo da social network, che considera un mezzo automatico e freddo, seppur di condivisione: «Se ho qualcosa da dire a qualcuno in particolare lo dico a lui, se proprio ho qualcosa che devo dire a tutti magari faccio un’intervista. I social sono un modo per farsi amare dalla gente, questo è sicuro: ma perché? Io non ne ho bisogno: se qualcuno mi ama non dev’essere perché scrivo cosa faccio e cosa penso su Facebook, su Twitter o perché metto una foto su Instagram».
SEMPLICITA’ E SPORT – Corre veloce Menez, ma in campo, non nella vita, perché non ha fretta di invecchiare, seppur invidi la vita di suo nonno, che ha vissuto con un’altra mentalità: «Mi bastava vederlo lavorare nel suo giardino per capire come si può essere felici di una vita molto più semplice della nostra, di una cena a casa invece di una serata in discoteca, di una ricchezza fatta di soldi meno “facili”». Ma spuntano altri ricordi, come quelli delle partite a rugby: «Dopo un po’ ho smesso di fare il masochista: troppo grossi gli altri, prendevo troppe botte ed ero troppo più bravo a giocare a pallone dei miei compagni per non dedicarmi solo a quello. Sarà che mi piacciono gli sport duri, ma se in tv c’è una partita della nazionale francese di pallamano scelgo quella. E se potessi giocherei a tennis più spesso di quanto faccio, vedrei più Federer di quello che vedo. Amo la classe nello sport, e lui ha una classe assurda, ce l’avessi io uno stile così: se dico che è lo Zidane del tennis rendo l’idea?».
PASSIONI E FAMIGLIA – Una delle passioni di Menez sono i viaggi: è rimasto folgorato da Montecarlo, dove sogna di trasferirsi: «Ci ho giocato due anni e quel posto mi ha rubato l’anima, mi ha fatto innamorare: è lì che mi sto facendo una casa, probabilmente sarà la casa per la vita. A Montecarlo hai sempre l’impressione di essere al sicuro, funziona tutto, lavori e ti senti in vacanza: sei in Francia e ti pare di essere in un altro mondo». L’altra è il cibo, tanto che quando smetterà di giocare non si farà di problemi se spuntasse un po’ di panzetta: «Ce l’avrò, ci metto già la firma, perché mi piace troppo mangiare. Cucinare tocca alle donne: non sono antifemminista, è che lo fanno molto meglio di noi. O perlomeno: mia moglie di sicuro». E a proposito di sua moglie e della sua famiglia: «Spero che Maella e Menzo crescano vedendo il padre e la madre che sono felici insieme. Io e Emilie lo siamo da una serata in discoteca, seconda volta che ci vedevamo: non ero mai andato a farmi una lampada nel suo centro abbronzatura, ma l’ho capito subito che ero cotto lo stesso».