2016

Max Allegri sul banco degli imputati

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Inter-Juve: una sconfitta e il punto d’arrivo

Chissà se lo diverte stare sul banco degli imputati. Se gli stimola riflessioni che poi trasferisce nel merito delle sue scelte o se davvero non si fa condizionare da niente e da nessuno, anche se in taluni casi è palese che il livornese che è in lui esce fuori appieno, com’è successo giustamente al termine di Juventus-Siviglia quando si è sentito in dovere di ricordare a tutti la necessità delle giuste proporzioni quando si stilano le gerarchie di partenza della Champions League. Ben sapendo, peraltro, che d’estate era stato lui a indicare la sua squadra tra le prime quattro dell’Europa. Con un’implicita promozione del proprio campionato d’appartenenza, sempre svilito dalla critica internazionale e però di un livello tecnico così basso da permettere fenomeni come quello del successo dei Leicester (una favola, certo; una vittoria leggendaria e meritata; ma le grandi d’Inghilterra che facevano nel frattempo per permettere un così clamoroso epilogo?). Il “problema” con Allegri è che nelle sue affermazioni, anche quelle più “pesanti” e all’apparenza definitive, c’è sempre un concetto caro a tutti gli allenatori e che lui lascia implicito il più delle volte, salvo poi chiarirlo con dovizia di particolari quando è costretto dalle circostanze: ciò di cui sta parlando non è un punto di partenza, una condizione aprioristica. Nel calcio occorre pazienza, termine che usa spesso anche per raccontare come ci si debba comportare in gara, a maggior ragione quando non si riesce a sbloccare il risultato. Perciò la Juve sì potrà fare grandi cose in Europa e in campionato, ma considerarlo un assunto e non invece una lenta conquista è un errore che l’allenatore certo non commette. Anche per il gusto di veder crescere la sua creatura passo dopo passo, anche se non lo si sentirà mai parlare di gara perfetta o di formazione titolare, di concetti cioè immutabili: qualcosa da migliorare c’è sempre e – probabilmente – non gli interessa neanche arrivare a proporsi come modello, non è Sacchi che ci ha campato non poco sul raggiungimento di un grado di eccellenza facendolo passare come uno stato permanente del suo Milan, laddove invece la sua bravura è stata anche quella di vincere una Coppa dei Campioni (la seconda) esprimendo un calcio ben poco bello e lasciandoci il dubbio che certe rivoluzioni siano quasi fatalmente di breve durata (poi è arrivato Guardiola e ha cambiato la prospettiva temporale dando contorni epocali e transnazionali a un’idea molto più radicale di rinnovamento).

La sconfitta di San Siro ha creato “scandalo” (come tutto, ormai…) perché Allegri non ha messo in campo Higuain dal primo minuto e per “l’esperimento” di Pjanic regista. Le due cose hanno un peso diverso, ovviamente, ma entrambi sono nella concezione di Allegri che ha del suo lavoro equivalenti: il diritto a sbagliare. Lui non lo direbbe mai così, ogni tecnico è giustamente convinto di mettere in campo la formazione migliore per arrivare al risultato sperato, ma trovo corretto operare scelte anche nette e criticabili puntando a giocare sul fattore tempo in gara. Higuain aveva già colpito contro la Fiorentina alzandosi dalla panchina, innestandosi in una linea che già l’anno scorso aveva visto snodi del campionato bianconero decisi dai subentrati (Cuadrado nel derby; Zaza nel big-match col Napoli; Morata a Firenze). Perché mai alla quarta giornata uno come Mandzukic deve essere accantonato in uno scontro importante? Quanto a Pjanic, non credo di avere letto una riga sulla sua incompatibilità con la posizione più delicata, anzi, Allegri aveva dichiarato in tempi non sospetti che lì ne vedeva il futuro, provandolo più volte nei test estivi e ricavandone buone risposte, sebbene poi le prova in campionato col Sassuolo con maggiore libertà di movimento fosse stata quella più convincente.

La Juventus a Milano ha perso e anche con un certo merito, troppo molle in certi frangenti, troppo intimidita ogni volta che si è trovata di fronte ad imbarazzi tecnici sconosciuti. Poi, come sempre, gli episodi hanno dato corpo a certe interpretazioni e personalmente preferisco più di ogni altra cosa la lettura degli eventi in senso narrativo. Perciò, valuto quella sconfitta come una prova con tanti difetti (ma Allegri per primo ne aveva visti e denunciati nelle precedenti gare vittoriose) e però non posso fare a meno di pensare che – esattamente come l’anno scorso all’inizio – distrazioni difensive del tutto inaspettate siano state la vera svolta per il risultato e la sua successiva interpretazione. Al gol di Lichtsteiner non credo di essere stato il solo ad avere il sospetto che fossimo coriacei, cinici, concreti e che quel gol fosse la sublimazione perfetta di un 3-5-2 tanto poco estetico quanto efficace, con un esterno che mette a porta vuota il suo compagno dell’altra fascia. Prima di cambiare, è bene lavorare per correggere il finale. E ricordarsi che non è questo il punto d’arrivo e da che mi ricordi, solo le Juventus di Capello rasentavano la perfezione immediata, salvo poi calare nel tempo e perdere la strada in Europa.

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