Calcio Femminile

Martina Zola: «Da mio padre Gianfranco ho imparato la competizione, l’ho messa nel Jiu-Jitsu»

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Martina Zola, figlia di Gianfranco, si racconta al Corriere della Sera dopo il bronzo ai mondiali di Jiu-Jitsu

Martina Zola, figlia dell’ex campione di calcio che ha fatto la storia soprattutto al Chelsea, è lottatrice di Jiu-Jitsu. Ha vinto il bronzo ai Mondiali e al Corriere della Sera si è raccontata.

LA PRIMA VOLTA – «La prima volta fu un disastro. Il momento più brutto ma anche quello in cui mi convinsi che quello era lo sport che volevo fare. Lottavo con un ragazzo, era sudatissimo, aveva la fronte bagnata, mentre resistevo osservavo le gocce sulla sua fronte, ne cadde una e mi finì sull’occhio: un brivido e un fastidio. Fui più forte, continui a lottare. Mi dissi: se ho superato questo, vado avanti e un giorno vincerà. Osservare da bambina mio padre, i sacrifici che ha fatto per affermarsi nel calcio, non vederlo quasi mai perché era al campo ad allenarsi, godere dei suoi trionfi mi ha avviato in maniera naturale alla competizione, dentro di me c’è la passione per lo sport, vissuta in maniera seria e sana».

L’INFANZIA – «Facevo ginnastica artistica ma nella mia testa ho sempre cercato qualcosa di più sfidante, performante. Ero incuriosita dalle arti marziali ma in Sardegna non c’erano palestre dove poter approcciare questo sport. Nella vita poi tutto avviene nel momento giusto e quando ci trasferimmo tutti a Londra con papà al Chelsea, iniziai a pensare che lì c’erano palestre che mi interessavano. Prima di arrivarci ne è passato di tempo. Dopo il college ho fatto un master in cinematografia, ho partecipato anche alla produzione di qualche documentario, ma dopo un po’ lasciai perdere. Lì c’erano le palestre “giuste” dove trascorrevo anche sei ore al giorno».

LA FAMIGLIA – «Papà mi ha incoraggiata, intuiva che quella ragazzina faceva sul serio ed era disposta a fare sacrifici. Io mi rivedevo in lui, e probabilmente lui in me. Ci vuole tanta forza fisica e anche tecnica. Ho superato tanti infortuni ma non ho mai mollato. Papà per me è stato un esempio, di resistenza, umiltà e successo».

UNO SPORT MASCHILE – «Assolutamente. Molte donne ci rinunciano per il contatto ravvicinato con l’uomo. Non è tanto una questione di resistenza fisica e mentale, ma proprio di scomodità. A livello igienico a molte dà fastidio. All’inizio perde sempre, viene meno la fiducia e la consapevolezza».

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