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2016

Certe giornate amare, lascia stare

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martin palermo ceta rigori

Argentina 0-3 Colombia, Copa America 1999: Martin Palermo sbaglia 3 rigori in una partita

Il giorno in cui avrebbe sbagliato tre rigori in una singola partita, Martin Palermo si alzò di buon mattino per andare alla riunione tecnica con i compagni di squadra. Aveva sognato di riempire di palloni la porta avversaria e per un lungo momento fu felice dentro al sogno, ma nel ridestarsi si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca d’uccelli. Non che ci volesse molto a interpretare quel sogno e nemmeno la reazione, e Martin Palermo – che tutto era fuorché un psicanalista o quelle cose lì – vide il sorriso stampato sul suo volto trasformarsi sempre più in un ghigno di disapprovazione. Durante la riunione tecnica sentiva crescere dentro di sé un senso di insoddisfazione profonda, ascoltava le parole del Loco Marcelo Bielsa e si piegava su se stesso in maniera inconcepibile, impercettibile quasi agli occhi dei compagni di squadra. Non uno dei suoi colleghi si accorse del malessere di Martin Palermo quel mattino di luglio nella orrenda Luque, città del Paraguay nella quale si preferiva guardare in cielo e venir colpiti dall’incessante pioggia piuttosto che vedersi attorno e scorgere quei lugubri casermoni moderni che stonavano con la realtà circostante. E sotto la pioggerella fine e infima, con el Loco e i suoi occhiali in punta di naso a pontificare gli schemi infarcendoli di frasi orgogliose, in un albergo apparentemente di lusso ma tutto sommato squallido, un mattino di luglio Martin Palermo avvertì che quel giorno qualcosa sarebbe andato storto, ma non aveva le doti divinatorie – per dio, era solo un attaccante! – per poter prevedere cosa, in effetti, sarebbe andato storto. Dopo la rifinitura, ore prima del trasferimento al Feliciano Caceres, Martin Palermo provò a placare le sue angosce con un sonnellino pomeridiano. Dormì poco e male, senza nemmeno spogliarsi e si svegliò con un mal di testa ancor più forte; se fino ad allora non era riuscito a interpretare qualsiasi sorta di presagio in quella piovosa domenica di luglio, quando salì sul pullman coi compagni di squadra e inciampò sull’ultimo gradino ebbe la certezza, l’illuminazione: sarebbe stata una serata di merda.

IL PRIMO RIGORE – Anni dopo sul Guinness World Record figurerà il nome di Martin Palermo per un record curioso e ancora in piedi, una di quelle statistiche a cui nessuno fa caso se non girovagando sul web o sfogliando enciclopedie per passare il tempo. El Loco Bielsa però, che sarà pure bravo ma ancora non ha la capacità di prevedere il futuro, quella sera di luglio scelse proprio Martin Palermo per la partita contro la Colombia, la selezione dell’Argentina avrebbe affrontato gli ostici cafeteros in Paraguay per la seconda gara del Gruppo C della Copa America. Nella prima sfida l’Argentina aveva battuto l’Ecuador tre a uno e Martin Palermo aveva tenuto fede alla sua fama di attaccante con senso del gol, una definizione quasi accademica: due reti decisive e tre punti in saccoccia per l’Albiceleste. Il 4 luglio 1999 Argentina – Colombia era la sfida tra le due favorite del Gruppo C e a molti sapeva di spareggio per il primo posto, Martin Palermo era l’uomo giusto per riuscire a scardinare l’arcigna e nervosa difesa colombiana. Ubaldo Aquino invece era un signore paraguaiano che non aveva nulla a che vedere con la storia del calcio, non fosse stato per la sua passione per il comando. Da piccolo evidentemente giocava a fare il supereroe, a voler decidere le sorti altrui con un solo gesto, e fu così che, crescendo, decise di diventare arbitro. Ubaldo Aquino era paraguaiano e come molti paraguaiani viveva di un senso di inferiorità calcistica nei confronti delle altre nazionali sudamericane, una insofferenza che si trasformava in spirito di rivalsa e forse, pure inconsciamente, quando era stato designato per Argentina – Colombia, aveva deciso di diventare protagonista. E dopo cinque minuti aveva fischiato il primo dei cinque rigori di quella partita. Alexander Viveros, confuso dall’acquazzone e dal terreno di gioco inzuppato dell’orrendo Fernando Caceres, intuì un traversone da sinistra ma colpì con la mano, inconsapevole di non essere ancora diventato un giocatore di pallanuoto. Penalty, l’incaricato per l’Argentina è Martin Palermo. Troppo biondo per poter segnare al Caronte Miguel Calero, Martin Palermo prese la palla e la posizionò sul dischetto, non era una giornata positiva ma poteva riscattarsi. Martin Palermo doveva tirar fuori tutta la sua rabbia col mondo e quindi decise di calciare potente e centrale. Effettivamente la rabbia venne fuori, era visibile, ma il pallone si innamora quasi sempre dell’assurdo e quella volta le sue mire sentimentali si diressero sulla parte alta della traversa. Un bacetto e un volo verso l’infinito.

IL SECONDO RIGORE – Martin Palermo sbagliò il rigore, mise le mani ai fianchi e fece come fanno tutti i calciatori quando ne falliscono uno: incassò le spalle, guardò in terra bestemmiando a mezza bocca e spostò lentamente la testa da una parte all’altra. Effettivamente quella domenica di luglio non era la miglior giornata che il buon dio gli aveva riservato, ma Martin Palermo continuò ad avere anche un barlume di fiducia in se stesso, senza scoraggiarsi troppo. Martin Palermo era in piedi nel cerchio di centrocampo quando vide Arley Betancourth avanzare nell’area di rigore dell’Argentina; Nelson Vivas era un po’ in ritardo e doveva fermarlo solo con un intervento straordinario. Ma forse furono il freddo di Luque, il buio cinematografico delle serate in Paraguay, oppure, molto più verosimilmente, il fatto che Nelson Vivas non fosse Passarella, eppure l’Argentina si ritrovò sotto uno a zero. Su rigore, per giunta. Vivas atterrò Betancourth, Ivan Cordoba andò dagli undici metri e lui sì, segnò. Martin Palermo rimase immobile a centrocampo e vide la beffa più grande di quella giornata: Cordoba che scivola tirando di potenza ma spiazza German Burgos. Il più grande inganno che il diavolo ha mai fatto è quello di far credere che ci sia un modo infallibile per battere i calci di rigore. Mentre la partita filava via liscia, Ubaldo Aquino si ricordò del suo ruolo di giudice severo e imparziale della disputa calcistica e, qualche minuto dopo l’ingresso in campo delle squadre nel secondo tempo, vide una spinta di Roberto Ayala su Hamilton Ricard segnalando il fallo. Il caso volle che la spinta fosse avvenuta all’interno dell’are di rigore dell’Argentina e che quindi quello fosse il terzo rigore della serata. Martin Palermo non ce l’avrebbe fatta a veder segnare un altro rigore quando lui lo aveva calciato così male, e per sua fortuna German Burgos ricordò di essere qualcosa in più di un taglio di capelli Nineties. Tiro alla destra del portiere, parata, si resta 0-1. Martin Palermo provò a prendere più confidenza e arrivò pure il momento in cui la confidenza l’avrebbe presa in braccio e mostrata a tutti, non fosse stato per quei sogni, per quella giornata, per il contesto. E fu così che sbagliò il secondo rigore della serata.

IL TERZO RIGORE – Il secondo rigore della serata marrone di Martin Palermo arrivò al minuto numero settantasei sempre grazie alle decisioni di Ubaldo Aquino, che in un’altra vita era stato un fancazzista bohemienne in una soffitta parigina, ma in quell’esistenza gli calzava a pennello la figura di direttore di gara inflessibile. Ubaldo Aquino aveva espulso poco prima Javier Zanetti, il match sembrava in discesa per la Colombia ma ancora una volta Viveros si dimenticò che il futbol si gioca senza mani, soprattutto se si è un difensore. Invero il gioco da villano al minuto settantasei arrivò in maniera causale su un tiro ravvicinato ma Ubaldo Aquino era in forma e fischiò il quarto penalty della serata. Martin Palermo prese la solita rincorsa, cento metri distante dalla traversa colpita nel primo tempo. Era ancora rabbioso per tutto quel complesso di cose che nessuno sapeva spiegare e il suo sinistro gridava vendetta, avrebbe tirato ancora una volta di potenza. Il moto accelerato della palla, partita dal dischetto del rigore, segnava numeri da record: la sfera si alzò, Miguel Calero era battuto, ma si avviò sempre più in alto, fino a perdersi tra le gocce di pioggia della tetra Luque. Ancora oggi, a diciassette anni di distanza, non si hanno notizie su quel pallone. Se ne hanno invece sui due gol che la Colombia segnò tra il settantanovesimo e l’ottantasettesimo portandosi sul tre a zero: prima raddoppiò un taconazo di Edwin Congo (tutt’oggi ignaro di come possa aver segnato una rete così bella e- soprattutto – aver giocato nel Real Madrid) e poi Johnnier Montaño – anche di lui a Parma perderanno le tracce – infilò German Burgos con un sinistro deviato e fortunato. Sullo zero a tre, a pochi secondi dal termine e con un rigore ancora da fischiare, Ubaldo Aquino adempì al suo compito. Marcelo Bielsa, nonostante tutto, non aveva avuto la prontezza o la voglia di sostituire Martin Palermo, che da par suo voleva ancora riscattarsi. E su un terreno da risaia, sotto la luna paraguagia, Martin Palermo saltò Ivan Cordoba e Jorge Bermudez prima che Ivan Cordoba lo toccasse da dietro e Martin Palermo cadesse come corpo morto cade. Penàlti, disse il telecronista argentino. L’Argentina tutta, terra di sognatori, divenne realista quando si accorse dell’incaricato per quel rigore: Martin Palermo. Molti spensero la televisione, altri lasciarono lo stadio, altri ancora – illusi fino in fondo – seguirono la rincorsa del numero nove con la zazzerina che sarebbe di lì a poco passato alla storia come unico giocatore nella storia ad aver sbagliato tre rigori in un match ufficiale, nei novanta minuti regolamentari. Martin Palermo, lui invece disilluso, sapeva in cuor suo che quella era l’occasione per svoltare la sua giornata, forse la sua carriera. Segnare non avrebbe voluto dire nulla, se non altro lo avrebbe tirato su di morale. Per la terza volta in una serata posizionò palla sul dischetto e prese la rincorsa. La rabbia non era sbollita, anche se più che ira era diventata ansia, angoscia. Tirò ancora di collo pieno. Miguel Calero si tuffò alla sua sinistra. Martin Palermo vide la palla andare nello specchio della porta, per la prima volta in tre tentativi. Miguel Calero parò, Martin Palermo urlò quasi strappandosi i pantaloncini dalla rabbia. Non era giornata.

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