2013

Manchester City, Mancini: ?Wenger, conta solo vincere ed io posso? – PRIMA PARTE

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CALCIOMERCATO MANCHESTER CITY MANCINI – Dover ripensare alla propria infanzia per ricordare un momento nel quale la vittoria non contava nulla è un’impresa impossibile per Roberto Mancini, che sin da bambino ha coltivato l’ossessione per essa. “Mio cugino mi ha battuto a ping-pong una volta ed io gli ho lanciato la mia racchetta sulla testa”, ha spiegato il tecnico del Manchester City, che già a nove anni mostrava di avere un rapporto difficile con le sconfitte. Raccontandosi al The Guardian, l’allenatore ha rivelato: “Quando lasci la famiglia da ragazzo cresci molto rapidamente. Non ero felice, era difficile, ho avuto grossi problemi il primo anno all’accademia, diedi un’occhiata e me ne andai. Anche se è accaduto 35 anni fa me lo ricordo bene. Mi fecero tornare il giorno dopo, quindi capì che non potevo scappare via, ma per me è stato un anno molto difficile: provate ad immaginare un ragazzino di 13 anni lontano dalla sua famiglia”.

Facile, dunque, intuire da dove nasca la durezza di Mancini, spesso scontroso con i giocatori che non prendono sul serio la propria carriera: “Sono sempre lo stesso, ho la stella mentalità di quando giocavo con i miei amici a scuola: voglio vincere, voglio solo vincere. Non mi piace solo partecipare”.

L’anno scorso ci è riuscito mettendo la sua firma nella storia dei Citizens, quest’anno potrebbe essere più difficile: “Mi rendo conto del fatto che siano stati commessi degli errori e che ne abbiano fatti anche i giocatori, ma la ragione principale è che non abbiamo fatto bene nel mercato estivo, abbiamo lavorato veramente male sul mercato. Soriano e Begiristain? Non sono miei superiori, sopra di me ci sono solo Al Mubarak Khaldoon e lo sceicco Mansour. Ferran è venuto dal Barcellona, quindi sa cosa vuol dire lavorare in un top club. Txiki ha giocato a calcio, quindi conosce questo sport. Sono due uomini validi, per questo motivo sono ottimista riguardo il futuro. Abbiamo persone che conoscono questo mondo, abbiamo bisogno di alcuni giocatori e loro ci stanno lavorando. Ora la nostra attenzione è rivolta agli ultimi tre mesi”.

Riguardo gli uomini che possano fare al suo caso, Mancini ha le idee chiare: “Cavani mi piace, ma lo vuole tutto il mondo. Ci sono grandi giocatori, non so quello che può succedere: Suarez gioca in una grande squadra come il Liverpool, Cavani nel Napoli, poi c’è Falcao, uno dei più cercati. Neymar è un buon giocatore, è giovane, ma non so se è pronto per giocare in Inghilterra, perché qui il calcio è completamente diverso. Penso che andrà al Barcellona o al Real Madrid, dove si gioca un calcio più tecnico, ma Cavani e Falcao potrebbero lavorare bene qui, hanno esperienza e hanno caratteristiche ideali”.

Dai giocatori da cercare sul mercato l’ex calciatore è passato a quelli che sono passati dai livelli straordinari dello scorso campionato a quelli discreti dell’attuale stagione: “Penso che Samir (Nasri, ndr) abbia delle qualità fantastiche. Con le sue qualità si dovrebbe giocare sempre bene, perché può fare sempre la differenza. Un giocatore di questa qualità potrebbe essere uno dei migliori d’Europa, ma non è così. A volte un giocatore pensa che sia sufficiente quello che si è fatto l’anno prima e non capisce che bisogna migliorare costantemente. Se sei un top player sai che devi migliorare fino all’ultimo giorno della tua carriera, ma a volte ci sono dei giocatori che pensano che lavorare non sia importante e questo è un grave errore. Samir può fare meglio dell’anno scorso, è un top player, ma non sta giocando da tale. Hart? Ho creduto in Joe quando nessuno lo faceva. L’ho messo tra i pali quando tutti pensavano che era impossibile per lui fare meglio di Given, che all’epoca era uno dei migliori portieri d’Europa. Voglio bene a Joe, altrimenti non l’avrei inserito in squadra due anni fa. Ma il discorso è semplice: se continua a fare errori va in panchina. L’ho fatto con Samir, Silva, Tevez e può accadere anche a Joe. Il problema è che se un portiere fa un errore puoi perdere una partita, ma lui ha le qualità per essere il migliore, lo è in Inghilterra, ma se vuole rimanere al vertice deve lavorare sodo e pensare solo al calcio”.

Un fiume in piena, colmo di sincerità, qualità che difficilmente si riscontra negli allenatori, poco propensi a parlare apertamente di aspetti inerenti al proprio spogliatoio, come Arsène Wenger, ad esempio: “Io non sono come lui, siamo diversi. Io voglio vincere e penso che ogni giocatore debba essere abbastanza forte da assumersi le proprie responsabilità, perché solo in questo modo è possibile migliorare. Non può accadere questo se hai un allenatore che ti dice: ‘Ah, non ti preoccupare, hai fatto un errore, non importa”.

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