Luciano Marangon, vamos a la playa! - Calcio News 24
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2015

Luciano Marangon, vamos a la playa!

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«Playboy io? Al massimo la domenica sera… Gli altri giorni pensavo solo ad allenarmi duramente»

«Sono contento di fare quest’intervista con voi di CalcioNews24, almeno potrò finalmente dire la mia versone su parecchie frottole che sono state spese su di me». Luciano Marangon – classe 1956, accento poeticamente veneto ed una carriera spesa benissimo tra Lanerossi Vicenza, Napoli, Roma e Verona scudettato (dell’Inter parleremo a parte…) – ci risponde al cellulare da Ibiza e si comporta esattamente come quando si guadagnava il pane sui maggiori campi della serie A: ci “marca” stretto e smentisce con sincerità tanti luoghi comuni che lo hanno accompagnato in quei convulsi e frenetici anni ’80. Marangon incallito playboy? Luciano viveur delle notti “da bere”? Un terzino talmente mondano che sarebbe stato perfetto per una canzone “spericolata” di Vasco Rossi? Macché, tutte palle. «La mia si chiamava solo curiosità, voglia di vivere, desiderio di avventura. Ma confinavo il tutto alla domenica sera, quando la partita era finita da ore ed il giorno dopo non c’era allenamento da svolgere. Solo che i giornalisti ci ricamavano sopra: mi vedevano al ristorante con qualche graziosa signorina e da lì partivano i pettegolezzi, le esagerazioni, le falsità. Quanta gente ci ha marciato sopra alla mia vita privata… (sospira)». Che l’ex terzino sinistro stimato da Osvaldo  Bagnoli fosse un animo inquieto e poco incline alla stabilità quotidiana, al massimo, lo si è capito dopo. A carriera terminata. Quando si è messo a studiare roba seria (comunicazione e marketing alla New York University), girare al mondo (quasi 120 nazioni timbrate sul suo passaporto), aprire locali qua e là (Formentera, Santo Domingo, Grecia) e trovare finalmente approdo nella “sua” Ibiza dove al momento gestisce – assieme al figlio Diego – un bel locale (il Soul Beach) affacciato su di un mare da sogno. Ascoltiamolo raccontarsi.

Sfatiamo subito un bel po’ di leggende su di te…
«Parli dello scavezzacollo che correva dietro alle donne? L’affamato di sesso? Te l’ho detto: tutto limitato ai periodi di pausa, magari alle vacanze. Dalle giovanili della Juventus fino all’ultimo anno con l’Inter sono stato un professionista serio che andava a letto presto la sera. Vizi? Praticamente nessuno: non fumavo, non bevevo, né tantomeno mi drogavo. E quando c’era da allenarsi duramente, ti assicuro che ero l’ultimo a chiudere la porta del centro sportivo. Era sempre Bagnoli a dirmi: ‘Basta Luciano, per oggi hai fatto fin troppo, vai pure a casa’. Questo e solo questo era il Marangon calciatore. Stop.»

Ti piaceva Vasco Rossi a quei tempi, vero?
«Mi piace ancora adesso, se è per questo: Vasco è il più grande artista/cantautore/rocker, chiamalo come ti pare, che l’Italia possa attualmente vantare. Ma ti assicuro che io sarei stato un soggetto abbastanza noioso per una delle sue canzoni maledette… (ride)»

Cosa andò storto nei tuoi ultimi due anni all’Inter? Le statistiche riportano solo 22 presenze dal 1985 all’87 ed un addio parecchio burrascoso…
«In pratica mi infortunai quasi subito e la dirigenza nerazzurra si impuntò per farmi operare in Italia, a Pavia, dal loro medico sociale dell’epoca. Risultato? Il mio malanno si aggravò e così, la volta dopo, decisi di testa mia andando sotto i ferri in Francia, a Saint Etienne. In pratica passai quasi un anno e fermo mezzo ai box e, quando finalmente abbandonai il dolore, il mio contratto stava per scadere. Bella fregatura, eh?»

E lì scoppiano le tremende divergenze.
«Sì, io avevo richieste dall’estero e volevo a tutti i costi andare a giocare in Inghilterra, al Tottenham Hotspur. Solo che la legge-Bosman sarebbe entrata in vigore solo dieci anni dopo ed Ernesto Pellegrini, l’allora presidente dell’Inter, si impuntò sul famoso ‘parametro UEFA’ che, nel mio caso, non era decisamente a buon mercato. Da lì partì un tira e molla pazzesco con io che me ne volevo andare e lui che non voleva scendere neppure di un centesimo dal prezzo del mio cartellino. Come uscirne? Beh, non la diedi vinta all’Inter e smisi di giocare. Fine della storia e della mia carriera.»

E da lì ti trasferisci a New York e vivi per un po’, perdonami la battuta, alla “Lupo di Wall Street”…
«Parli delle feste da 300 persone che tenevo nel mio loft? Ma guarda che nella Grande Mela è normale organizzare party privati, è l’unico modo efficace di socializzare in una metropoli di quasi 8 milioni di abitanti… Certo, sei pur sempre a New York ed è inevitabile che a questi eventi trovi un po’ di tutto: dall’attore di grido alla modella famosa passando per il poco di buono e quello che fa un lavoro normale.»

Successivamente hai fatto il procuratore, vero?
«Esatto, per dieci lunghi anni e devo dire che ero pure bravo. Sai, venivo dalla scuola di Antonio Caliendo che, a quei tempi, era il numero uno in Italia dovendo gestire i contratti di Baggio e Schillaci. Anch’io avevo il mio bel giro di assistiti tipo Stefano  Eranio, Francesco Moriero e Fabrizio  Provitali, ma devo dire che mi sono trovato bene con qualsiasi giocatore di cui curavo la procura. Solo che poi col tempo l’ambiente si è imbarbarito, è diventato una sorta di Far West aperto ad ogni tipo di personaggio improvvisato. Ed io mi sono stufato…»

Ed hai preso a viaggiare senza sosta attorno al globo. Come un moderno Bruce Chatwin del pallone…
«Sono stato praticamente ovunque realizzando il mio sogno di bambino che leggeva avidamente i romanzi di Emilio Salgari. E anche da calciatore i miei gusti non sono cambiati granché: i miei compagni in camera si buttavano avidamente sulla Gazzetta mentre io avevo sempre con me un bel libro di Wilbur Smith. Che mi parlava di luoghi lontani.»

Finché un giorno non ti sei fermato ad Ibiza…
«Ormai è tre anni che vivo qui ed il Soul Beach funziona alla grande. D’estate sono venuti a trovarmi tanti calciatori famosi: miei ex compagni di squadra, certo, ma anche gente tipo Biabiany, Balzaretti, Vieri, Galante. E molti altri che magari non riconosco neanche! (ride) Ci pensa mio figlio Diego, il deus ex machina del locale, ad aggiornarmi sul football attuale.»

In discoteca ci vai ancora?
«Scherzi? Quelli sono luoghi da giovani… La movida ed il casino sono gli aspetti che mi interessano meno di Ibiza: dell’isola adoro la sua multiculturalità, i suoi mille linguaggi, le sue zone selvagge, il sole, il mare, certi suoi scorci che sono davvero paradisiaci…»

Il viaggio (per il momento) finisce qui, Luciano?
«Beh, dopo tanto girovagare in giro per la Terra, non mi dispiacerebbe se Ibiza diventasse casa mia in vista della vecchiaia… Ma io sono fatto così: magari domani mi innamorerò perdutamente di una donna australiana ed allora sarò pronto a trasferirmi dall’altra parte del mondo! (ride) Per l’ennesima volta…»

Ibiza, pur essendo un luogo a parte, è anche Spagna. E il Mundial dell’82 te lo ricordi?
«E come non potrei? All’epoca ero la riserva di Antonio Cabrini e giocai pure una delle ultime amichevoli prima della partenza per il Mondiale: era aprile e pareggiammo 1-1 con la Germania Est a Lipsia (quella fu anche l’unica presenza di Marangon nella Nazionale maggiore, NDR)

Poi cosa accadde?
«Mi feci male, con la maglia della Roma, all’ultima giornata di campionato. E in Spagna, al posto mio, ci andò un certo Beppe Bergomi. Deluso? No, quell’estate ero in vacanza a Formentera e feci un tifo pazzesco per gli Azzurri.»

Però…
«Guarda, parliamoci chiaro, avevo una coscia stirata e – se Enzo Bearzot mi avesse portato con sè – avrebbe dovuto aspettare almeno il gironcino di Barcellona con Argentina e Brasile prima di farmi esordire. Sai, una cosa è attendere Pablito Rossi, un’altra quel matto di Marangon! (ride)»

Rubrica a cura di Simone Sacco (per comunicare calciototale75@gmail.com)

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