2014
Lo strano rapporto di Tuta con il gol
Una rete nella nebbia, una corsa in solitaria e il fantasma di Aristoteles
BASTOS TUTA BIDONE – Raramente un’immagine riesce ad esprimere in modo totale ed efficace il senso di una carriera, i tratti di quanto accaduto. E in quei rari casi l’immagine stessa supera il senso di tante parole e delle potenziali interpretazioni: un calciatore salta, colpisce di testa, il pallone va in porta e lui corre. Tutto normale, il bello del calcio, se non fosse che quel calciatore corre da solo nella nebbia, circondato da sguardi poco lusinghieri. Questa è l’immagine che racchiude il rapido passaggio di Moacir Bastos Tuta nel nostro calcio e che, in qualche modo, ne ha sancito l’epilogo: è il 24 gennaio del 1999, Tuta indossa la maglia del Venezia e siede in panchina (un’abitudine) nello scontro salvezza contro il Bari. Mister Novellino, sul risultato di 1-1, decide di gettare nella mischia il lungagnone brasiliano arrivato dall’Atletico Paranaense: in teoria non è la mossa in grado di ribaltare le sorti del match, in teoria appunto. L’1-1 è un risultato che, in una sfida salvezza, non si butta via: muove la classifica, come si dice, e non è necessario dannarsi l’anima nel finale per cercare il gol della vittoria. Strategie implicite, patti silenziosi, tutte cose che Tuta non comprende nel proprio vocabolario calcistico. Del resto Maniero lo disse pure: “Spesso non ci rendiamo conto se quando parliamo con lui ci capisce”, ed evidentemente in quel caso non capì. Soltanto Bilica, altra meteora brasiliana, ed un massaggiatore sembrarono assecondare Tuta in quel momento di gioia che, inconsapevolmente, stava ponendo le basi per la conclusione della parentesi italiana.
Gol nel finale, scontro salvezza: la reazione che non ti aspetti
ITALIA, ADDIO – A testimonianza dell’impatto di quell’episodio e del suo seguito, con il caso archiviato e caduto nel silenzio, basti sottolineare quanto rapida fu la fuga del giocatore dall’Italia e dal suo mondo calcistico, un mondo che rappresentava un sogno sulla carta ma che si è tramutato ben presto in disillusione e amarezza. A rendere ancor più surreale l’idea di un gol segnato contro tutto e contro tutti emerge un parallelismo cinematografico che ha dell’incredibile e del profetico. Il film cult L’allenatore nel pallone (1984) vedeva un outsider brasiliano, dal nome di Aristoteles, salvare miracolosamente la Longobarda da una retrocessione annunciata ed avallata dallo stesso presidente: la somiglianza fisica tra Tuta ed Aristoteles e la rete del 2-1 che scombina piani veri o presunti rimandano all’istante alla storia che si sarebbe ripetuta ben 15 anni dopo a Venezia, senza alcuna sceneggiatura cinematografica ad ispirarla. La carriera di Tuta è poi proseguita altrove, del resto ai tempi di Venezia aveva appena ventiquattro anni, e al di là di una parentesi coreana l’attaccante ha preferito calcare i familiari campi del Brasile senza tentare nuove esperienze in Paesi che, come accaduto in Italia, lo facessero sentire straniero dentro e fuori dal campo.
Nessuna sceneggiatura, tutto vero, e qualcuno lo aveva previsto
SENZA FERMARSI MAI – Un aspetto evidente osservando la carriera di Tuta è la propensione accentuata a non resistere con la stessa maglia per più di una stagione, al di là degli esiti sul campo: dal 2000 a oggi, infatti, l’attaccante non è rimasto mai fermo tanto da cambiare ben 17 squadre in 14 anni: Vitoria, Flamengo, Anyang Ceetanhs, Coritiba, Suwon Bluewings, Fluminense, Gremio, Figueirense, Sao Caetano, Nautico, Resende, Brasiliense, Barbarense, Inter Santa Maria, Clube Atletico Juventus, Barra de Tijuca e Flamengo Piauì. L’episodio di Venezia, con quella esultanza malinconica nella nebbia, non rimane l’unico momento paradossale nello strano rapporto di Tuta con il gol: nel 2012 l’attaccante, allora in forza all’Uniao Barbarense, andò a segno contro l’Atletico Sorocaba. Cosa c’è di strano? Tuta era appena stato rilasciato dopo un mese di carcere, dovuto agli alimenti non pagati alla ex moglie. Giusto il tempo di svestire i panni di detenuto, indossare la sua maglietta e buttare in pallone in rete. E, questa volta, nessuno lo rimproverò.