2018

Liverpool-Roma: i tre motivi della disfatta giallorossa

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Liverpool-Roma finisce 5-2, le scelte tattiche di Di Francesco costano care ma non ha sbagliato soltanto lui

La Roma affonda nella notte di Liverpool e sul banco degli imputati finisce Eusebio Di Francesco. La sua scelta di affidarsi al modulo anti Barcellona alla fine si è rivelata un errore che per i giallorossi rischia di essere fatale. La difesa a tre, con Kolarov e Florenzi spostati sulla linea del centrocampo ha retto bene nei primi 20’ minuti ma dopo la prima palla gol dei Reds, sprecata da Mané a tu per tu con Alisson, la paura ha preso il sopravvento.

SUICIDIO TATTICO – Difensivamente non ha funzionato niente ieri sera. Con questo modulo, appena il ritmo della partita si è alzato, la retroguardia romanista si è ritrovata costantemente esposta alle scorribande di Salah e compagni, spesso e volentieri con uno contro uno che hanno fatto ammattire Fazio, Manolas e Juan Jesus. Il centrocampo si è trovato sempre in inferiorità numerica con i tre del Liverpool che hanno tritato De Rossi e Strootman, costretti ad uno sfiancante lavoro supplementare che mai è riuscito a filtrare la manovra avversaria. Questo ha creato una profonda frattura tra la linea mediana e l’attacco che quasi mai è riuscito a ripartire. Solo l’ingresso di Schick è riuscito a ricucire lo strappo, complice anche l’inevitabile calo del Liverpool nel finale che ha permesso alla Roma di riaprire parzialmente il discorso qualificazione.

MENTALITÀ – Paura si diceva all’inizio e quindi mancanza di mentalità. Lo ha ammesso anche direttore sportivo Monchi a fine partita, la Roma è mancata tanto da questo punto di vista. Quando la marea rossa si è alzata la nave giallorossa ha imbarcato acqua da tutte le parti, anche se le premesse erano state diverse. Gli uomini di Di Francesco, nei primi 25’, avevano mostrato grande personalità attaccando alto il Liverpool e sfiorando il gol con un bolide di Kolarov che si è schiantato sulla traversa. Poi la luce si è spenta. Alla prima di difficoltà è emersa tutta la fragilità di una squadra che evidentemente in estate non era stata costruita per certi palcoscenici. Non è un caso che i giallorossi abbiano perso tutte e tre le gare in trasferta della fase ad eliminazione diretta subendo 11 gol in 3 partite.

LEADER TECNICO – La mancanza di mentalità ci porta diretti alla terza chiave della sconfitta di Anfield: la mancanza di un leader tecnico, prima che carismatico, in mezzo al campo. La Roma non ha un calciatore che si prenda la responsabilità di giocare quando la palla scotta e in una semifinale di Champions la palla scotta parecchio. In rosa non c’è un calciatore in grado di condurre la nave in porto quando le cose si mettono male. Ci ha provato a tratti De Rossi ma la sua prestazione è stata molto diversa da quella messa in mostra nella gara di ritorno contro il Barcellona dove aveva dominato il centrocampo blaugrana. Ai ritmi forsennati imposti dal Liverpool la qualità del palleggio romanista si è sgretolata e non è mai stata efficace, anche a causa dei continui errori in fase di impostazione che non hanno permesso ai giallorossi di ripartire con continuità. Con De Rossi e Strootman costantemente tagliati fuori dalla manovra, Fazio e Manolas si sono spesso improvvisati registi con risultati talvolta imbarazzanti.

Tutto da buttare dunque? No, la Roma deve ripartire dal quarto d’ora finale e dai gol di Dzeko e Perotti che tengono ancora vivo il sogno europeo. La finale di Kiev oggi è un po’ più lontana ma il match contro il Barcellona ha cambiato per sempre la percezione del calcio da queste parti. Sognare un’altra rimonta si può.

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