2020

Lippi dice basta: si ritira l’uomo che divise l’Italia e poi la riunì

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Grande scalpore ha inevitabilmente fatto l’annuncio di Marcello Lippi sul proprio ritiro dalle panchine: personaggio schietto e mai banale, spesso controverso

Negare che Marcello Lippi sia stato uno dei più grandi allenatori della storia italiana sarebbe probabilmente ai limiti della lesa maestà. Profeta del calcio offensivo, fu la prima straordinaria intuizione della Triade Bettega-Giraudo-Moggi che nel 1994 lo scelse per rifondare la Juventus, scommettendo sulle doti affinate in 10 anni di gavetta, culminati nei buoni campionati con Atalanta e Napoli. Durante l’epopea bianconera il viareggino iniziò a costruire la sua leggenda con quella chicca, mai più ripetuta, del successo in Champions League che ancora fa palpitare i cuori bianconeri. Ma non mancarono nemmeno i primi attriti che in qualche modo lo resero celebre, basti ricordare il rapporto tutto fuorché idilliaco con Roberto Baggio, di fatto messo alla porta dal “bel Marcello”.

Ma è negli anni successivi che Lippi, in realtà, spaccherà definitivamente l’Italia in due con il fallimento clamoroso del progetto Inter, laddove ritrovò lo stesso Divin Codino e collezionò figuracce colossali, una per tutte l’incredibile eliminazione ai Preliminari di Champions League per mano dell’Helsingborg. Mai amato dal pubblico nerazzurro a causa del suo freschissimo e vincente passato in bianconero, si arrivò a sfiorare la definizione di “odio” quando le vie infinite del mercato lo riportarono nuovamente alla Juventus.

Un voltafaccia (doppio) che il più viscerale tifo antijuventino non poté di certo apprezzare.
Dopo aver spaccato in due l’Italia, ecco però l’occasione della vita con la chiamata in Nazionale e quella magica estate del 2006 in cui il sogno di un popolo intero divenne realtà. Un trionfo grazie al quale Marcello Lippi riuscì a riunire attorno a sé l’opinione pubblica, frastagliata ulteriormente dal caos di Calciopoli.

Il suo famoso sigaro divenne il sigaro di tutti, al punto da perdonargli anche il secondo, enorme fallimento della carriera nei successivi Mondiali 2010, quando gli Azzurri non furono capaci di battere Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia. Di fatto, le ultime immagini nitide del suo lavoro prima del “buen retiro” in Cina. Ora, dieci anni dopo, l’addio ufficiale al palcoscenico di un allenatore amato e odiato, capace di dividere e riunire, ma sempre e comunque di emozionare.

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