2016
Okazaki – Ulloa: sembra un cartone animato ma è la gloria
Il tutto è più della somma delle sue parti: ode al Leicester di Ranieri
Che fossero al contempo poco giovani e senza esperienza ve lo abbiamo già raccontato. Che siano stati i pionieri della riscrittura del concetto di profondità anche. Che sarebbero diventati campioni d’Inghilterra per la prima volta nella loro storia, sì, avevamo iniziato ad immaginarlo: ma nel novero di ogni favola che si rispetti, finché non tocchi con mano la realtà meglio restare alla larga dal verbo indicativo.
IMPRESA LEICESTER – Ebbene sì, via il condizionale, i se ed i ma, i dubbi e le perplessità che necessariamente devono accompagnare un percorso tanto lastricato e condito da inevitabili incertezze. Alla fine il Leicester ha davvero vinto la Premier League e – constatazione forse ancor più assurda, ma qui il concetto del normale lo abbiamo oltrepassato da un po’ – lo ha fatto con ben tre turni d’anticipo. Distacchi siderali (+7 sul Tottenham, ma +10 sull’Arsenal, +13 sul Manchester City, +17 sullo United, +22 sul Liverpool, + 29 sul Chelsea) su una concorrenza d’un tratto venuta meno: ma non c’è un pelo da togliere a questa favola. Perché, in una situazione del genere, poteva risultare logico attendersi il Tottenham di turno: non però chi un anno fa si è salvato per il rotto della cuffia.
LA SQUADRA – Ha funzionato alla perfezione. Il certificato di garanzia è in tal senso arrivato dalle due recenti gare disputate senza Jamie Vardy. L’idea non può che essere stata immediata: senza quell’attacco della profondità garantito dal numero 9 crolla il palazzo. Del resto la terzultima squadra del torneo per passaggi riusciti non può certo (e sul più bello) improvvisarsi qualcosa che non è: palleggiare non fa per noi, dunque senza aggressione degli spazi come se ne esce? Poche storie: lo fanno gli altri. Ed è lì che ti ritrovi un tandem offensivo della caratura di Okazaki–Ulloa (non è un cartone animato, credeteci, non sono Holly e Mark Lenders) a dividersi le fette di campo con la precisione che spetta a due architetti. E’ secondo tale canovaccio che tutto è girato per il meglio: non dipendere da nessuno ma camminare insieme. Bello a dirsi, meno facile a farsi. Ma altrimenti non ti spieghi come due buttafuori mancati – ogni riferimento ad Huth e capitan Morgan è tutt’altro che casuale – possano tenere in piedi la retroguardia campione del torneo più accreditato del pianeta.
LA SENTIAMO ANCHE NOSTRA – Che poi ci sia un pizzico d’Italia a questo punto appare più che logico addirittura obbligatorio. E’ la nostra scuola, la nostra storia. Arrangiarci con quel che si ha e venire fuori quando nessuno ci aspetta, con quella abilità nel soffrire che cammina sul terrificante equilibrio tra masochismo e gloria. Fermi tutti: altro che pizzico. Il tutto è più della somma delle sue parti: concetto nato dalla Gestalt tedesca agli inizi dello scorso secolo, ripreso poi dal nostro Battiato fino al punto da titolarne un (bellissimo) album, Inneres Auge – Il tutto è più della somma delle sue parti. E sublimato dal re Claudio Ranieri: perché se prendi un etto di Fuchs e lo unisci a due di Drinkwater, condisci con un il miglior olio di Mahrez, fai rosolare in salsa di Kanté ed insaporisci con spezie di Simpson, Albrighton e Schmeichel, beh, non avrai mai il primo titolo della storia del Leicester. E’ andata diversamente: altrove, per fortuna, succede.