2012

Le cinque cose che abbiamo imparato dal 2012

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L’anno sta per terminare, e guardarsi indietro è una cosa che tutti, chi più e chi meno, abbiamo fatto e faremo nei tre giorni che mancano al conto alla rovescia, allo stappamento delle bottiglie di spumante e agli auguri di buon anno nuovo. Questo è quello che abbiamo visto, nello sport più bello, intrigante e foriero di polemiche (almeno in Italia) in questo 2012.

I CONTE TORNANO, LA JUVE PURE – Se limitiamo il raggio d’azione al nostro Paese, sicuramente il 2012 è stato, sul piano del pallone che rotola su un prato verde, l’anno della Juventus e del suo condottiero. Antonio Conte ha restituito alla Vecchia Signora i vecchi crismi della juventinità, qualcosa che le gestioni dei vari Deschamps, Ranieri, Zaccheroni e Delneri rischiavano di far perdere in maniera graduale, anche perchè le parole ‘settimo posto’ stavano diventando tanto ripetitive quanto angoscianti per il popolo bianconero. L’arrivo del mister salentino ha riportato una Juventus combattiva, volitiva e quadrata sul campo, una squadra mai disposta a cedere un singolo centimetro all’avversario pur di arrivare alla vittoria. Vittoria che è arrivata in maniera limpida, con ferocia e una fame degna della più aggressiva delle tigri. E anche se la seconda metà di questo anno è stata vissuta senza un grande gentiluomo come Alex Del Piero, anche quello che verrà potrebbe rivelarsi l’anno della zebra, se il nuovo condottiero della Vecchia Signora proseguirà il suo percorso in maniera netta e senza incidenti.

IL DIAVOLO È DIVENTATO CAMALEONTE – Un anno travagliato, ricco di momenti di profonda riflessione, di delusioni cocenti, ma comunque un anno dal quale trarre giovamento e qualche insegnamento importante. In casa Milan, il 2012 è stato sicuramente un anno importante, che potrebbe rivelarsi fondamentale per il futuro. In principio fu la perdita del tricolore sulle maglie, con il grande rammarico legato tanto al gol di Muntari quanto alle occasioni sprecate prima e dopo, come la sconfitta di San Siro con la Fiorentina e il pareggio ottenuto 14 giorni dopo, sempre a Milano, contro il Bologna. Uno scudetto mancato che, sin dal giorno dell’ultima partita, quella contro il Novara, aveva il sapore di fine ciclo: gli addii, bagnati da fiumi di lacrime, dei vari Inzaghi, Nesta, Gattuso, Zambrotta e van Bommel erano solo un gustoso antipasto per gli addii da 36 carati, quelli di Thiago Silva e Ibrahimovic in direzione Parigi. Partenze dolorose, che hanno scatenato rabbia nei tifosi ma che hanno dato vita ad una vera rivoluzione: dentro i vari Zapata, de Jong, Bojan, Pazzini, ma soprattutto avviene l’esplosione di due campioncini di assoluto valore: Mattia De Sciglio, il terzino destro del futuro (non solo rossonero), e Stephan El Shaarawy, il campione che mancava per far dimenticare il vichingo dal gol facile.

L’AEROPLANINO ATTERRA A FIRENZE – Se qualcuno dovesse andare a Firenze, uno di questi giorni, e chiedesse a un tifoso della Fiorentina qual è il simbolo della rinascita della formazione viola, userebbe due elementi un pò strani: una pernice e un aeroplanino. Direte: cosa c’entrano un uccello e un velivolo con la ripresa di una squadra di calcio? I motivi sono presto detti. Nel primo caso, la pernice, o meglio le due pernici imbalsamate trafugate da un locale di Moena hanno segnato la fine del precedente regno del terrore, interrotto bruscamente dall’arrivo del nuovo allenatore Vincenzo Montella. Ed è qui che entra in gioco il secondo elemento, quell’aeroplanino atterrato sulle rive dell’Arno e capace di dare la scossa al gruppo, non solo con le azioni fuori dal campo: metodi di gioco innovativi, tattiche che esaltano la duttilità dei nuovi innesti, come il genio del centrocampo Borja Valero, il vivace esterno Cuadrado, l’arcigno difensore Roncaglia e quel Gonzalo Rodriguez, capace di fare male ai suoi omologhi avversari di testa così come su rigore. E poi c’è l’entusiasmo ritrovato della Fiesole, che ogni domenica esplode per i gol e per le giocate d’alta scuola dei suoi nuovi beniamini, i quali hanno sicuramente regalato un felicissimo Natale alla tifoseria gigliata.

IL MATADOR NON HA FINITO LE SPADE – Passando al fronte dei giocatori, se ce n’è uno che in questo 2012 ha fatto balzare tutti dalle sedie e dalle poltrone per la sua impressionante regolarità, si tratta sicuramente di Edinson Cavani. Un giocatore che con la maglia azzurra addosso e Walter Mazzarri a guidarlo da bordocampo, ha sicuramente trovato la sua perfetta dimensione: corre, lotta e insegue gli avversari come faceva già a Palermo, ma in quel di Napoli ha trovato una prolificità a dir poco spaventosa, che lo ha reso uno dei tre bomber più desiderati e ricercati al mondo (non teniamo conto di Ronaldo e Messi, ovviamente). Edi segna, si muove, crea spazio per i compagni, e finalmente in questo 2012 ha potuto sollevare al cielo un trofeo con il suo club: la Coppa Italia strappata alla Juventus dominatrice in Italia è sicuramente il principale attestato del fatto che il Napoli, grazie anche alle reti messe a segno dal suo Matador, è diventata una grande squadra. E a differenza degli uomini dai quali ha preso il soprannome, Cavani sembra avere una scorta illimitata di spade con cui infilzare i suoi avversari.

IL RITORNO DELLA COSCIENZA DI ZEMAN – Dalla nicchia piena d’oro di Pescara alla lunacità del popolo che “magna, beve e tifa Roma“. Il 2012 di Zdenek Zeman è stato vissuto sulle montagne russe, com’è spesso accaduto al tecnico più amato e odiato al tempo stesso nel nostro calcio, il quale sembra aver finalmente iniziato a togliersi delle soddisfazioni. Il suo primo campionato vinto, seppur in cadetteria, è il segno del fatto che Zdenko ha ancora tanto da dimostrare stando seduto su una panchina: è soprattutto merito suo se gente come Verratti, Insigne e Immobile ora sono pilastri delle rispettive squadre o uomini-mercato cercati da mezza Serie A, ed è merito suo se la piccola realtà abruzzese è tornata a respirare l’aria del grande calcio, vent’anni dopo l’ultima volta. Anche il suo ritorno a Roma, a quattordici anni dal suo addio, non senza polemiche, è la dimostrazione del fatto che su Zeman si può ancora contare, se si vuole far divertire una tifoseria, specialmente se appassionata e attaccata alla squadra com’è quella giallorossa. Grandi giornate miste a novanta minuti vissuti come un incubo ad occhi aperti, ma nel complesso la fine del 2012 è senz’altro positiva per la squadra della Lupa, che ora guarda con grande entusiasmo all’anno che verrà, con un uomo boemo al comando.

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