2020
Lazio e Roma agli opposti: il modello Lotito vince, meno quello americano
La rivalità calcistica tra la Roma e la Lazio è nota a tutto il mondo del calcio. Le due squadre si contendono da sempre la “supremazia” cittadina, con alti e bassi da una parte e dall’altra. Negli ultimi anni, però, se c’è una squadra che sembra avere una certa continuità nei risultati, è la Lazio di Lotito. La storia del presidente biancoceleste alla guida della Lazio comincia il 19 luglio 2004. L’acquisto di 18.268.506 azioni portò infatti l’imprenditore romano a diventare l’azionista di maggioranza di un club che, passata l’era Cragnotti, si trovava in una situazione di estrema difficoltà finanziaria.
Nelle 16 stagioni trascorse al comando dei biancocelesti, la Lazio ha conquistato ben 6 titoli: 3 Coppe Italia (2008-2009, 2012-2013, 2018-2019) e 3 Supercoppa Italiane (2009, 2017, 2019) sconfiggendo nell’agosto 2009 quella che sarebbe diventata l’Inter del Triplete di Mourinho e nel 2017 la Juventus dell’era Allegri.
Oltre alle vittorie sul campo anche le onorificenze fuori dal rettangolo di gioco: nel 2015, il presidente Lotito si è aggiudicato il premio Financial Fair Play “Al dirigente sportivo che si è particolarmente distinto nell’oculata, corretta, virtuosa e innovativa gestione economica di un club calcistico”.
La Lazio all’alba dei suoi 120 anni di storia, si è trasformata radicalmente nella gestione, patrimonializzando alcuni asset tra cui il Centro Sportivo di Formello e il palazzo Valenziani. Ma è riuscita anche e soprattutto ad ottenere corpose plusvalenze grazie al player trading. L’utile netto, che nel 2018 ha superato i 29 milioni di Euro, è il risultato di importanti cessioni in sede di calciomercato (Keità, Biglia e Hoedt) capaci di generare plusvalenze per oltre 61 milioni di euro.
Nello scorso anno la squadra biancoceleste ha conteso lo scudetto alla Juventus per gran parte del campionato. Merito dell’organizzazione della società, guidata da Lotito e il valore aggiunto garantito da Igli Tare sotto il punto di vista tecnico-sportivo, hanno consentito di colmare almeno in parte il gap con realtà capaci di garantire introiti ed investimenti più elevati. Un altro dei cavalli di battaglia del Presidente, è quello di riuscire a formare da zero il proprio personale. Ecco perché si è scelto di puntare su profili emergenti come Tare, Inzaghi e Peruzzi. L’analogia che Lotito stesso fa è che da buon imprenditore, preferisce comprare un terreno agricolo, investirci nel tempo, ottenere l’agibilità e costruire in economia per poi rivendere, piuttosto che comprare (come fanno altri grandi club) direttamente l’appartamento di lusso.
Grazie a questa lungimirante visione, si è riusciti a capitalizzare al meglio il potenziale umano, proveniente anche dalla fallimentare gestione Cragnotti, non disperdendo esperienze e cultura aziendale che si sono formate durante le carriere dei rispettivi atleti.
L’incertezza romana
Se da una parte c’è una squadra brillante che guarda con ottimismo al futuro, dall’altra c’è una società che non trova stabilità. Da qualche anno la proprietà della Roma è una questione del tutto americana. Già nel 2011 si inizia con Thomas di Benedetto che dà vita ad una conduzione bicefala. Da un lato il gruppo statunitense (con il sessanta per cento delle quote), che sceglie il proprio management italiano di fiducia per la gestione più immediata: Franco Baldini direttore generale, Walter Sabatini direttore sportivo, Claudio Fenucci amministratore delegato. Dall’altro Unicredit, che ha rilevato la Roma come parziale copertura del credito che vanta nei confronti della famiglia Sensi e continua a detenerne il quaranta per cento anche dopo la cessione.
Alla squadra Pallotta si presenta in pieno clima rigido tuffandosi vestito nella piscina di Trigoria. Ma sulla vicenda stadio si fa combattivo e accelera, individuandola come core business e firmando un accordo con l’imprenditore romano Parnasi per edificare l’impianto sui terreni dell’ex ippodromo di Tor di Valle. Il progetto dell’opera viene affidato all’architetto di fama mondiale Dan Meis. In campo però i risultati altalenanti non aiutano a conquistare parti rilevanti della piazza, anche se la Sud si schiera con il tecnico e non osteggia la società.
Da qualche settimana la Roma è passata nelle mani di Friedkin, magnate americano che punta in alto come dimostrano le quote degli operatori di casino e di scommesse online dedicate ai giallorossi. La chiusura dell’operazione, dal valore stimato in 591 milioni di euro, era stata preannunciata lo scorso 6 agosto con la sottoscrizione di un accordo vincolante tre le due parti coinvolte, il Friedkin Group e l’AS Roma SPV, società dell’investitore statunitense James Pallotta, fino a oggi azionista di maggioranza della squadra.