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La mano di Dio non è di Maradona

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La rete di mano di Maradona contro l’Inghilterra non fu episodio innovativo nella storia del calcio: anche in Italia abbiamo avuto un Dio

Prima del gol più bello della storia del mondo – o se volete essere “riduttivi” dei Mondiali – realizzato da Diego Amando Maradona c’è stata la sua mano di Dio che ha colpito gli inglesi. Stracelebrata da chi vede in quel gesto il carattere onnipotente del fuoriclasse, in grado di essere tutto e il suo contrario, il bene e il male negli stessi 90 minuti, il furbo e il genio in due azioni così diverse. Un “furto” – perché tale è stato, per il regolamento e per chi lo ha patito – che il Pibe de Oro ha rivendicato da subito, senza mai pentirsi (del resto: Dio può mai pentirsi? Ma qui si va sul teologico e lasciamo la questione in sospeso).

Maradona addirittura non solo rivendicava l’accaduto, ma disse anche che a pensarci bene gli provava più piacere del gol dove aveva scartato più di mezza Inghilterra. Del resto, l’arte dell’inganno è costituiva del calcio, ogni gesto tecnico dovrebbe ambire a essere altro da quel che sembra (pur restando nella legalità). Lui lo elevò anche a forma di riscatto dallo scacco ricevuto dalla sua Argentina con l’Inghilterra nella guerra delle Falkland-Malvinas e del resto anche qui, il calcio è una metafora del conflitto in quasi tutte le espressioni che lo raccontano.
La mano di Dio è stata mitizzata, indagata, elevata da una miriade di narrazioni partorite in ogni dove, ultima delle quali il recente film di Paolo Sorrentino proprio per il carattere simbolico dell’evento: attraverso di lei si può arrivare a scoprire qualche legge dell’esistenza, comunque la si pensi.

Ma la mano di Dio contro gli inglesi non è originale. Anzi, è una brutta copia. Perché se è vero che il Barba (come lo chiamava Maradona) c’è ma non si vede, allora bisogna andare indietro nel tempo e indagare cosa successe nel 1939 in un’Italia-Inghilterra giocato a Milano, proprio come quello che si disputerà venerdì 23 settembre.
Prima che buttino giù San Siro, si trovi il modo di riprodurre in pellicola la scena di quella gara che vide Silvio Piola beffare i britannici e confessato a Sandro Ciotti solo molti anni dopo. L’attaccante azzurro lo raccontò così: «Un gol frutto anche dell’istinto. Mi ero lanciato per colpire il pallone di testa. Quando ho visto che non ci arrivavo per pochi centimetri ho dato alla sfera un gran pugno». Non se ne accorse nessuno. Ed anche in quel caso siamo molto vicini a una tragedia bellica: la partita di San Siro si giocò il 13 maggio 1939; il 10 giugno del 1940 l’Italia avrebbe poi dichiarato guerra all’Inghilterra e alla Francia.

Silvio Piola era un grande attaccante. Mario Sconcerti lo ha definito paragonandolo a un contemporaneo di Maradona: «un Van Basten più insistente e un pochino meno tecnico». Silvio Piola ha vinto il Mondiale a 24 anni, Diego Armando Maradona a 25.  Anche noi italiani – e prima degli argentini – abbiamo avuto il nostro Dio, anche se con più modestia la sua rete è passata alla Storia come la “manina di Piola”, già dal diminutivo si capisce che abbiamo un senso di colpa.

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