2016

La Juventus a Lione e l’arte della pazienza

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Conquista pesantissima per la Juve in terra francese: per vincere ci vogliono atteggiamenti diversi

“Dentro una partita ce ne sono tante”. Sottinteso: è bravo chi sa interpretarle, ognuna è diversa e pertanto non c’è una sola lettura, non esiste un unico modo per arrivare all’intera posta se si vuole essere una squadra in grado di porsi obiettivi ambiziosi, tanto in Italia, quanto in Europa. La frase di Allegri, più volte ripetuta in sede di presentazione di una partita, non è una professione teorica o una scappatoia linguistica per giustificare i limiti della Juventus lungo i 90 minuti. Più volte abbiamo visto come il mister ritenga il calcio una materia da affrontare in senso temporale, ogni match è un insieme di fasi delle quali i suoi giocatori devono essere consci in modo da estrarre il massimo nel omento più opportuno. In un’altra accezione, quella degli allenatori che pensano e pretendono coerenza assoluta, intensità totale fino ad annichilire l’avversario, il rischio è quello di non riuscire a cambiare mai lo spartito quando le cose non funzionano per intero. Ad Allegri non piace cozzare contro un muro, il suo è un calcio di soluzioni pensate, non si assisterà mai a 90 minuti tutti uguali ed in questo c’è anche un calcolo di energie per arrivare in fondo con le giuste risorse, com’è successo puntualmente nelle due precedenti stagioni trascorse in bianconero.

La Juve di questo periodo non incanta per qualità di gioco, ma intanto è concreta e porta a casa risultati pesanti, ottenendo il massimo vantaggio in campionato con il primo serio allungo in classifica e mantenendo il primo posto nel girone di Champions League. A unificare le due competizioni c’è la constatazione della tradizionale solidità difensiva: la migliore in Italia ormai da anni, imbattuta in Europa anche grazie a un mostruoso Gigi Buffon. Se ne sono sentite e lette tante in queste settimane dove era incappato in qualche errore. E per l’ennesima volta in carriera, il “pensionato” di Beckenbauer (ricordate?) si è rialzato da terra sfoderando una prestazione incredibile, di quelle per le quali si inizia a pensare che Superman sia un diminutivo. Ci si era dimenticati che – al di là dell’errore di piede con la Spagna, troppo evidente per considerarlo indizio di qualcosa – il numero 1 della Nazionale e della Juve si era abbondantemente riscattato già all’interno degli stessi incontri che avevano registrato le sue incertezze.

In Macedonia aveva salvato dal possibile 3-1 (le cui conseguenze avrebbero generato dibattiti giustamente angoscianti sullo stato del nostro calcio); con l’Udinese nel finale era stato lui a garantire il conseguimento della vittoria con parate a salvaguardia del risultato. Pensare poi che i suoi errori fossero figli dell’ombra di Donnarumma è stata una delle bestialità sotto forma d’insinuazione sulla quale ci si esercita nello sport più antico del mondo: il giovane che rottama il vecchio. Nessun dubbio che il milanista rappresenti già un ottimo presente e abbia davanti a sé un luminoso futuro. Ma al suo esordio in Nazionale è subito incappato in un errore che non è stato sottolineato più di tanto proprio per la sua legittima inesperienza. Perciò, è semmai il contrario, è il monumento Gigi che può condizionare Gigio, che certo avrà modo di fortificarsi nel confronto.

Torniamo alle partite nella partita. Sarebbe un errore leggere Lione come una gara divisa a metà, tra un primo tempo abulico e una ripresa tutto cuore, soprattutto quando si è rimasti in inferiorità numerica. Ovviamente lo 0-0 della prima frazione di gioco è anche figlio di lacune nella manovra, di una lentezza raramente corretta e di qualche problema tattico che ha avuto un’incidenza sull’efficacia di certe azioni: Pjanic non è mai riuscito a uscire da una posizione che lo ingabbiava, mentre Khedira si è sacrificato a coprire le spalle di Dani Alves, la cui gioiosa anarchia può generare danni nello schieramento avversario e però obbliga a un surplus d’attenzione i compagni per il suo girovagare in campo. Non tutto, però, era da buttare. Intanto perché Higuain ha confermato di essere un animale da gol, andando a dettare sempre il passaggio in modo da risultare pericoloso. Il bel gioco è un’altra cosa, ma le occasioni per passare in vantaggio ci sono state e neanche poche. E nessun stupore che la Juve non accelerasse i tempi proprio per ciò che si è scritto prima: l’arte della pazienza come virtù da praticare per conoscere meglio se stessi, gli altri e le opportunità che si creano lungo i 90 minuti.

In questo rientra la carta Cuadrado. Che è pesantissima ancor più in una serata dove mancava Mandzukic come alternativa a uno degli attaccanti e ritrovarsi inopinatamente in dieci poteva generare un atteggiamento difensivo, volto a salvaguardare uno 0-0 utile per la qualificazione. Ed invece proprio l’intelligenza complessiva della Juve, oltre a uno spirito agonistico che esce fuori nei momenti necessari, ha generato una condotta di gara coraggiosa quando meno la si aspettava. Il gol è tutto creazione dell’estro del colombiano, ma stava dentro il pensiero collettivo, come si vede dall’apertura di Higuain.

Tutto bene quel che finisce bene? Sì, pensando a 3 punti decisivi. E all’idea che le partite a eliminazione diretta (quella di ieri era una specie di sedicesimo di finale) vanno affrontate sapendo rispondere colpo su colpo, facendosi trovare pronti per ogni situazione che si propone.

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