2016
La Juventus, Allegri e gli incontentabili
Juventus: riflessioni dopo il Siviglia
A una grande squadra si chiede la perfezione. Ancor più in questo calcio dove si discute in maniera esagerata se ormai uno ha un passaggio a vuoto in un’amichevole estiva, figurarsi se si pareggia una gara di Champions League. Perciò nessun stupore, se non quello per l’esistenza (e mi sembra sempre più numerosa) di una bella fetta di tifosi che sembrano tenere più a una loro idea di squadra (spesso del tutto personale) che a quella che effettivamente va in campo. Non so se è figlia della cultura dei social o di quel fenomeno che già anni fa illustri ricerche sociologiche avevano definito come “l’atomizzazione del tifo”, emblematicamente riassunto dall’esistenza sempre più massiccia di striscioni individuali sugli spalti, laddove diventavano sempre più rari quelli che esprimevano una forma di sentire di gruppo o di collettivo. Il “dramma” (sportivamente inteso) di tale atteggiamento ai confini dello sfascismo (che Tuttosport oggi ha messo in prima pagina con la simpatica definizione di “criticoni”) è che si scambia la critica eccessiva per passione. Talvolta, altro non è che pura ignoranza. La critica sana è ben altro e si esercita su ciò che si vede, limitandolo ai 90 minuti di una partita. Gli “incontentabili” (io li definisco così), invece, non hanno per statuto mai un principio di soddisfazione (c’è sempre qualcosa che non va); sono distruttivi (la condanna tipica è orientata al giocatore inadatto a vestire la maglia, mai una riflessione su un’eventuale utilità di qualche forma di utilizzo); la loro felicità è il fondamentalismo (mai un dubbio, e dire che c’è l’intera storia del calcio a dimostrare come si possa parlare male, malissimo, in maniera terribilmente offensiva di una squadra e dei suoi componenti che poi diventano nientemeno che campioni del mondo!); e, soprattutto, coltivano il male peggiore: sviliscono il significato della partita (un momento parziale nell’evoluzione di una stagione) puntando a una lettura della struttura, per la quale – per scendere nel concreto – la Juventus non è il Barcellona e anche quest’anno addio sogni di coppa (ci voleva lo 0-0 col Siviglia per accorgersi che non abbiamo Messi, Suarez e Neymar? E che facciamo, alziamo bandiera bianca a settembre?).
Vado oltre. Il pareggio con gli spagnoli di Sampaoli, presentati da una critica provinciale come dei signor nessuno (del resto hanno vinto solo tre Europa League consecutive, cosa mai vorrà dire?), è stato letto come la solita inadeguatezza della Juventus in Europa. Che poi due anni fa si fosse a giocare la finale di Berlino noi e non il Psg, i due Manchester, il Bayern e via discorrendo è un dettaglio ininfluente, conta poco. Come la traversa colpita da Higuain, le due occasioni a tu per tu di Khedira nei primi dieci minuti (copione identico allo scintillante Juventus-Sassuolo, solo che lì si è stati letali e prima si era pure rischiato di andare sotto), l’aver subito un tiro in 90 minuti di cosiddetto alleggerimento, eccetera eccetera. Insomma, per farla breve, qualcuno può sostenere con una qualche prova che la Juve non meritasse la vittoria ai punti pur in un quadro di incertezze, difficoltà, errori? Eppure, non di questo si parla e si scrive, ma dei problemi del centrocampo per l’assenza del sostituto di Pogba (esiste un alter ego?) e si dà già per defunta l’idea di una Juve competitiva. Il sogno è già naufragato.
Le partite non finiscono mai, era il titolo di un libro di Darwin Pastorin. Oggi, invece, le partire non esistono più. Non le si guarda più nel senso che non si legge l’evoluzione nel tempo dei 90 minuti e, soprattutto, l’idea che sia una sfida dove gli esiti non sono predeterminati da qualche idea, ma possono cambiare a seconda delle scelte in parte dell’allenatore e molto di più degli interpreti. La strategia delineata a priori può rivelarsi non esatta, trovare ostacoli imprevisti, variazioni di percorso. Credo che Allegri per primo sia il più critico nei confronti di se stesso, come dimostra in ogni analisi post-gara. Ma a chi ha dato come postulato che senza Pjanic nell’11 titolare non si può vincere (allora basta un raffreddore al bosniaco e siamo finiti…) e che sugli esterni per forza ci vogliono quelli che saltano l’uomo, ripropongo il nostro centrocampo contro il Borussia Moenchengladbach. Un altro 0-0, senza neanche rimpianti, un’altra gara dove sbagliammo molti passaggi, una partita che non ebbe neanche una sembianza delle grandi occasioni avute mercoledì sera. Eppure, cari incontentabili dalle certezze assolute, c’erano Khedira, Marchisio, Pogba (la qualità, la qualità!) e Cuadrado e Alex Sandro sulle fasce (l’uomo, va saltato l’uomo!).
Insomma, noi si sta qui, dubbiosi, preoccupati (perché lo 0-0 è un brutto risultato), un po’ meno entusiasti (perché Higuain deve essere il nostro Lewandowski e non ha fatto gol), felici però di avere la lucida consapevolezza che tutto è ancora possibile. Voi, invece, sapete già tutto e deve essere una grande noia vivere così sicuri del domani.